(Eisenwald) Il quinto album in quindici anni dei canadesi Panzerfaust celebra il black metal in una maniera moderna, attuale. Registrazione pulita, songwriting elaborato, nulla a che fare con il black istintivo, selvaggio e raw. Come da titolo l’album è il secondo di una tetralogia che vuole descrivere, discutere e suonare, evidentemente, dei mali che hanno afflitto l’umanità nel ‘900. I Panzerfaust lo fanno attraverso cinque canzoni per una durata di circa tre quarti d’ora. Clima funesto, inquietante, un clima dunque appesantito da questi mali che la band tocca nella propria divagazione musicale e canora. Proprio in fatto di cantato c’è da segnalare la presenza di Maria Arkhipova degli Arkona nella composizione intitolata “Promethean Fire”. Opener dell’album di oltre dieci minuti di durata, è costituita da un’atmosfera nella quale aleggia mistero, angoscia, nonché psichedelia e atmospheric black metal. Arpeggi, accordi aperti, riff cadenzati. “Promethean Fire” è il portale di accesso in questo abisso, il quale a singhiozzi mostra un lato quasi post black metal quando le atmosfere si dilatano. Nel complesso i Panzerfaust tengono la tensione narrativo-musicale alta. “The Suns of Perdition II: Render Unto Eden” è venato di melodie e alcune di esse ricordano qualcosa dei My Dying Bride di un tempo ma in una versione molto più truce. In fondo di melancolico si percepisce nell’album, al contempo squarci epici vagamente Rotting Christ si annidano in questi scenari foschi. Il tessuto del riffing è articolato, il drumming offre dei buoni arrangiamenti. La tetralogia ha ancora altro da offrire.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10