(Nuclear Blast Records) “Host” prese i concetti di “One Second” e li spinse ai limiti. Limiti, o confini sonori, di una band che ha sempre corso contro corrente, rallentando quando tutti acceleravano, andando verso il singing pulito quando divagava il growl, virando verso l’elettronica quando tutti puntavano alla chitarra distorta. Tutt’ora attivi, con un recente ritorno alle origini doom/death… quando molti cercano nuove strade avantgarde, furono accusati pesantemente con questa release ‘non metal’, mentre, in contemporanea, i reduci della dark wave ebbero il piacere di conoscere dei nuovi eroi. Ma ai Paradise Lost non è mai fregato nulla: i testi sono oscuri come in tutti i loro dischi, è solo il sound ad essere diverso, ‘nuovo’, controcorrente (per quello che era la tradizione della band). Un sound mostruosamente elettronico, ma infinitamente tetro, decadente e assurdamente provocante. Con la versione rimasterizzata, quel ‘provocante’ diventa ‘sensuale’: è un piacere erotico sentire capolavori come la darkeggiante “So Much Is Lost”, la decadente “In All Honesty”, la introspettiva “Harbour”, la gloriosa “Permanent Solution” o la gotica “Wreck” qui proposte con un suono ringiovanito, rinfrescato, ritoccato e propriamente esaltato. Se all’epoca questo album scalò le classifiche, con la tecnologia del suono di oggi le avrebbe semplicemente annientate. Notizia bonus? Finalmente anche in vinile!
(Luca Zakk) Voto: s.v.