(Century Media) Mi odierete. Le parole che leggerete di seguito non faranno felici molti. Però credo, anzi, sono certo, di non essere l’unica mente distorta che ha adorato i Paradise Lost in ogni singolo passo della loro lunga carriera (siamo al tredicesimo album). Ho adorato il cupo death dei primi anni. Li ho seguiti nella mutazione, quando la stampa accusava Holmes di cantare come Hetfield. Ho adorato fino alla pazzia quel capolavoro che è “Icon”. Ho ascoltato fino all’instabilità mentale quell’opera suprema definita “Draconian Time”. Seguì la triade dannata: ovvero il grandioso “One Second” (tutt’oggi costantemente nella mio lettore mp3), il surreale “Host” ed il provocativo “Believe in Nothing”; Tutti, secondo me, dei grandi capolavori. Ho ammirato la ricchezza dei testi. La versatilità della band. La capacità di reinventarsi, mantenendo la vera costante che li ha sempre caratterizzati: quell’essere totalmente oscuri, tristemente pessimisti. Sono stati capaci di scrivere e suonare il loro dark, in tutte le salse, in tutti i modi. E’ poi seguita la lenta risalita ai piaceri di quella che definisco “la limitata critica metallara”, con “Symbols of Life”, uno dei loro migliori dischi. Il successivo album che porta il nome della band stessa, fu geniale. Heavy metal per chi lo desiderava, “pop” per chi, come chi scrive, ha saputo adorare ognuno dei precedenti lavori. “In Requiem” è stato un ottimo disco, però poi è successo qualcosa. Qualcosa che “Faith Divides Us-Death Unites Us” ha, secondo me, scatenato; un meccanismo che è entrato in funzione e che è tuttora operativo, anche in questo “Tragic Idol”: la mancanza di quelle nuove idee, di quelle scelte contro corrente, di quelle sorprese sputate in faccia, gridate dalla triste e potente voce di Holmes, pestate dai riff pesanti di Mackintosh. “Tragic Idol” è un album tecnicamente perfetto. Ottimo metal. Suonato in maniera eccellente. Cantato in maniera impeccabile. Dieci tracce di suono dannatamente potente, di suono con il marchio di fabbrica dei Paradise Lost. Si reinventano, si ripropongono, ma attingono a piene mani dal proprio passato (da “Draconian Times”, tra gli altri). C’é comunque una rinascita, un risorgere. Si sente la band in forma. Mackintosh offre una chitarra monumentale. Holmes è potente, ricco, e ad ampio spettro. Per una band che ci ha abituato a sorprese brutali, questo album non è nulla di particolarmente nuovo. “Solitary One” e “In This We Dwell” sono un balzo indietro di oltre 15 anni. “Theories From Another World” è sicuramente un pezzo che si eleva per potenza, e creatività. Energetico lo sviluppo di “Tragic Idol” e “Worth Fighting For”, due pezzi veramente belli e ben strutturati, con una bellissima malinconia che aleggia costantemente. Alla fine dei conti sono i Paradise Lost.Il loro genere lo suonano solamente loro. Non hanno mai fatto album scadenti. Si sono sempre distinti per qualità ed innovazione musicale. “Tragic Idol” non inventa nulla, non divide la critica, ma offre tre quarti d’ora di ottimo metal, musica di altissima qualità.
(Luca Zakk) Voto: 7/10