(Heart Of Steel Records /DEFOX Records) Credo esistano diverse dimensioni di valutazione. Ciascuna mostra le cose da un punto di vista completamente diverso, talvolta opposto alla precedente. Nella musica le dimensioni sono molteplici. Originalità. Abilità. Effetto. Alla fine, comunque, l’unica vera dimensione che conta è quella emozionale. L’unica vera essenza che porta musicisti in alto, verso l’olimpo del rock, o verso l’inferno dell’ignoto, di una vita artistica che viene ignorata. Certo, esiste la fortuna, l’intraprendenza magari, ma serve sempre e comunque riuscire a creare musica che demolisca brutalmente la dimensione emozionale, cercando di portarsi dietro più gente possibile. Per vendere dischi. Per riempire arene. Per essere famosi. Per vivere un sogno. Ci sono e ci sono stati stati artisti speciali nel metal e nel rock. Gente al di sopra di tutto. Parlo dei virtuosi della chitarra, strumento rock per eccellenza. Parlo di Hendrix. Parlo di Malmsteen. Parlo di Blackmore. Di Uli Roth, di Marty Friedman, Steve Vai, Axel Rudi Pell. Questa è la gente che ha monopolizzato il settore, che ha dettato regole, imposto stili, e, soprattutto, creato una miriade di discepoli, molti dei quali anche di successo. Fare la musica che fanno questi illustri signori non è facile. Serve il dominio di molte di quelle dimensioni. Bisogna essere dannatamente abili. Mostruosamente creativi. Carismatici. Alla fine devi suonare come un dio, e saper scrivere le tue canzoni come un diavolo. Se suoni bene e copi altra roba, sei fuori, o al limite in una cover band. Se suoni male, e fai la tua roba, sei sulla strada del suicidio artistico. Dimitry Pavloskiy è un ragazzo che viene da qualche sperduta località dell’Ucraina. Ha preso in mano la chitarra che ancora se la faceva a letto, ed è uno di quelli che, diavolo, sul quei ventiquattro tasti ci vola sopra per davvero. E quelle sei corde le fa proprio gridare di rabbia, piangere di sofferenza, e di gioia. Si, Dimitry è sostanzialmente un clone di molti degli illustri precedentemente citati, anzi, direi che siamo abbastanza verso sua santità Yngwie J. Malmsteen, ma vorrei vedere chiunque suonare così prima ancora di imparare ad andare in bicicletta. E, altra cosa non da poco, c’è una letale differenza in fatto di risorse, ed influenze, tra l’essere nati nella variopinta Europa o tra le opportunità degli Usa, ed il saltar fuori da un paese che fino ad ieri era dietro un muro. Dimitriy fa suoi i virtuosismi di molti artisti. Conosce perfettamente i classici Paganini, Bach, Mozart. Compiti fatti a casa anche con Stratovarius, Symphony X, Annihilator. Ed alla fine ci mette del suo, creando questo “Powersquad”, oltre 40 minuti di virtuosismi, di idee, di musica pura, musica di qualità, in grado di trasmettere vere emozioni. Quelle emozioni rinchiuse nella dimensione più importante della musica. Ed ecco la Malmsteeniana “The Sun (Remember Me)” che comunque garantisce quell’impronta più piegata verso l’heavy che il neoclassico. Deliziosi i giochi tra tastiera e chitarra su “Tunnel Through the Earth”. Assolutamente grandiosa “Inside Me – Forever Alone”, la quale riesce a trasmettere quelle sensazioni di attesa, quei passaggi simili a a preliminari superbi, in vista di un orgasmo sonoro. Molto hard rock “Before Sunset”, ricca di caratteristiche che accarezzano il blues, con sonorità calde, ricche di gusto creativo. Travolgente la bellissima “City In Ruin – Cataclysm”. Di matrice in stile Stratovarius, l’imponente “Stars Powersquad”, offre melodie ed una struttura della canzone degna delle migliori bands di power metal neo classico sulla scena. Un disco convincente, nove pezzi tutti strumentali, per potersi abbandonare completamente al supremo suono della chitarra, ovvero quel simbolo di un dio, il dio del rock, venerato ormai in ogni angolo del mondo.
(Luca Zakk) Voto: 8/10