(autoproduzione) Gli svizzeri Penfield realizzano un album che sembra essere il prodotto di uno stile musicale fatto con bossa nova, ambient e space rock, progressive, oltre a certe soluzioni care a Alan Parson’s Project e King Crimson. I sintetizzatori regnano sovrani, ma chitarra, basso e batteria fanno le proprie considerevoli apparizioni nell’intera economia dell’album. L’elettronica che diventa fusion in “La Phisyque Anarchique” e per quasi 13′, è uno dei punti di massima nello zenith stilistico dei Penfield. Laggiadra per i suoni al silicio, saltellante per i tocchi della sezione ritmica e dei relativi ricami di synth, moog, rhodes e tutto il resto, la composizione è una piacevole ed elegante, nonché passionale divagazione nella pura libertà musicale. L’aspetto fusion è forse una componente molto presente nell’album e del resto se i cinque musicisti di Ginevra padroneggiano contrabbasso, sassofono, sintetizzatori, ebow, appare inevitabile e fisiologico il percorrere territori fusion. Da un punto di vista testuale invece l’album ne presenta solo tre di canzoni cantate (ma c’è anche un ampio uso del recitato e di sampler vocali): singolare e divertente è “Apax 34 002” con Walther Gallay, la quale racconta una sorta di vicenda nello spazio che non può non ricordare quella di “Space Oddity” di David Bowie. Proprio l’aspetto stellare e spaziale poi conferisce a “Parallaxi5” una dimensione ancora più ampia alla musica e non vincolandola così strettamente alla fusion e offrendole una gamma psichedelica ed elettronica importante, come accade in “[Hapax] Abyss” e “[Hapax] ADN”.
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(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10