(Autoproduzione) Immaginate dei vecchi amici. Il prodotto di amicizie nate verso i venti anni e che dopo altri venti anni sono ancora lì. Come si comporta nel tempo l’amicizia? Di cosa vive? Di tante cose, di tante esperienze e dei momenti che l’hanno prodotta e prolungata, trasportata nel tempo. A 40 anni l’amicizia dei Picea Conica è appunto una band, concentrata in un metal solido e inesorabile. Un obelisco di metallo che resiste e si impone con sonorità ruvide, quasi scarne, ma tanto possenti, solide, mostruosamente pesanti. Fritz, chitarra, Theo, batteria (ex Kichigai), Paolo, factotum del duo, organizzano sonorità estremamente cupe, ossessionanti, metal appunto, ma a volte lo sono più per le distorsioni e per quelle tipiche andature ottuse, serrate, altrimenti potremmo parlare di uno scontroso e incavolato post rock/metal o noise metal. Ecco dunque che i Picea Conica sono la sintesi del catatonico metal dei Godflesh (“Kethosi”), della sinistra ossessività dei Neurosis (“Methamorphosis”), dello svampito gusto bizzoso dei Melvins (“Euphorbia”)…si, queste sono alcune delle influenze che la stessa band di Forlì cita (anche i mai dimenticati The God Machine, incarnati in “Abutilion” e “Anemone”) e che prendo a prestito per descrivere e tentare di darvi l’idea di cosa sia questo sound così spesso e allo stesso tempo catramoso. Come lo sludge (“Salix Babilonica”), ma molto più dinamico e ricco rispetto a quel genere. Pezzi totalmente strumentali, fatti come se fossero delle libere forme che si evolvono su poche linee, su poche strutture, eppure quelle poche idee sono valorizzate al massimo e tese ad essere precise e ben definite. Non divagano mai più del dovuto i Picea Conica, vanno però a infilarsi in corridoi inaspettati ripiegando sul metal, il post metal e il post hardcore e lo sludge e così via, oltre a scenari lisergici e consunti. Proprio il fatto di essere dei pezzi privi di un cantato, l’atmosfera della musica acquisisce una solennità marziale, scarna, come un mantra che parte e va avanti per 30′. Uno stato allucinato e “ispirato” che rapisce la mante dell’ascoltatore. Oppure potrebbe alienarlo e quindi annoiarlo? “Freesia” è un album che va accettato e non capito, perché tocca il cuore delle sensazioni di chi lo ascolta e l’indole di costui deve essere in sintonia con certi modelli e sonorità da me (e dalla band) citati.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10