(Beyond…Prod.) I profondi cambiamenti di una vita, condensati in un’ora e dieci di sublime esperienza sonora. Che poi non conta l’ispirazione ad un romanzo mai scritto o la partecipazione -come guest- di Efthimis Karadimas dei Nightfall. Non conta ci sia del doom o del death. Non contano le altre ispirazioni, o il fatto che questo sia solo un debutto -a seguito di un EP- di una delle tante band italiane, quasi sconosciute, condannate all’underground dal pubblico patetico di un paese sordo, cieco, privo di percezione. Qualsiasi sia il discorso, il confronto, l’ambientazione … ormai non conta, non vale, non ha semplicemente più senso nel momento in cui un viscido serpente si attorciglia alle gambe, stringendo, salendo, imprigionando, catturando, immobilizzando. Uccidendo. E’ il serpente di “The True Shape Of Eskatos”, un oscuro peccato che contiene fin troppo materiale per dare un senso ad una qualsivoglia catalogazione. E le sette traccie sono troppo lunghe per poter essere classificate, votate, descritte in maniera esaustiva. Poi, è da considerare che “The True Shape Of Eskatos” è un’opera dalla doppia faccia. Da una lato c’è esaltazione di singoli momenti geniali -siano essi appartenenti al death, al doom, all’ambient, all’etnico o qualsiasi altro filone sonoro- rendono il disco dannatamente facile da ascoltare. Il growl possente attira l’amante del genere. Le ritmiche colossali non possono alimentare indifferenza. I suoni di fiati, suoni etnici in un contesto nostalgico e drammatico sono sublimi, il sassofono è pura delizia. L’altro lato è ambiguo, e se esiste ancora l’ascoltatore che prova emozioni, che ascolta… ascoltando, per percepire, per catturare, per avere, per dare, per ricevere, per entrare in simbiosi con il suono, per derubare una immortale sorgente di passione, allora questo capolavoro offre l’altra faccia, un celato lato oscuro, non visibile, non esplicito, inizialmente privo di luce. L’esperienza, dopo innumerevoli ascolti, è magnetica. La capacità di trasportare la mente attraverso un percorso sinuoso è unica, geniale, perversa e subdola, totalmente capace di ferire mortalmente, di interrompere respiro e vita, trascinando resti esanimi attraverso territori sonori sempre diversi, sempre opposti, ma magicamente connessi gli uni con gli altri. Dopo una introduzione epica e decadente, è l’oscura malinconia di “Satyriasis and the Autumn Ends” a creare l’atmosfera che assumerà diverse sembianze durante tutto il disco, anticipando da subito riffings crudeli, accenni sinfonici, growls spietati. Ma è solo l’inizio. “Stalingrad” offre pura poesia, una poesia struggente e lacerante, dove una fantastica voce clean contrasta la sofferenza di un growl appartenente ad un death gothico dal sapore originale, antico. La violenza contrasta anche con la pace, con l’armonia della sezione ambient, dove le clean vocals dipingono un epilogo che tocca i sentimenti più profondi. Malinconia trionfale con “Ordinis Supernova Sex Horarum“, un altro capolavoro che dentro i suoi confini temporali riesce a far convivere death spietato con ambient atmosferico, dove il sassofono materializza scenografie da sogno, scenari che proseguono sulla successiva “The River 1917”, pezzo strutturalmente simile al precedente, che però si spinge su concetti forse più etnici, più armoniosi. Teatrale e drammatica “Angst”, con una impostazione del cantato clean decisamente avvincente, il quale lentamente porta a concetti di brutalità che si risolvono poi con nuova armonia ed esaltazione della percezione. La conclusiva “Amber Eyes” è ancora più profonda e toccante, con un cantato emozionale, una chitarra immensa (ci sono momenti che mi ricordano i norvegesi Beyond The Morninglight) ed un sassofono che congeda con soffice disperazione da un lavoro sublime, geniale, pieno di oscurità, tristezza, rabbia, amore, odio, erotismo, sangue, carne, vita, morte.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10