(Season of Mist) Da un anno firmataria con l’illustre Season of Mist, questa band è senza dubbio un’eccellenza italiana e, per noi connazionali amanti del metal, il nome suona super noto, quasi fossero sempre esistiti… ma la verità è che si sono formati solo nel 2020 e questo “Fire Blades From the Tomb” è il primo album, quello del debutto, visto che le tre release che hanno pubblicato in precedenza -e che li ha resi noti- ricade nella categoria EP, di fatto una trilogia (recensita QUI, QUI e QUI); loro sono senza dubbio fuori dagli schemi, decisamente poco classificabili, in quanto la loro musica appartiene a vari generi… per non dire che sono i vari generi che sono diventati proprietà del quintetto di Torino. In questi sette favolosi brani c’è il black metal, c’è il doom, c’è quella sublime dimensione occulta che solo le band italiane riescono a materializzare con così profonda teatralità. La voce poi, affidata alla talentuosa Erba del Diavolo (all’anagrafe Elena Camusso), crea una dimensione tanto violenta, diabolica e carnale, quanto sofisticata, poetica ed eterea: i testi, sia in italiano che inglese (e non solo…), vengono interpretati con passione, con maestria, con posseduta melodrammaticità, offrendo un ulteriore passo in avanti stilistico, in aggiunta a quello evidenziato dagli ottimi arrangiamenti musicali dei brani. Graffiante e imprevedibile come la morte “Demone”, irresistibile… trascinante e con un groove granitico “Covenant” (con ospiti Lucynine al Theremin e, al synth, Andrea l’Abbate dei Fierce). Doom introspettivo, tetro, sensuale… lascivo e diabolicamente perverso con “Red as the Sex of She Who Lives in Death”, mentre “La Razza” esce da ogni classificazione, con quei cambi di atmosfera repentini e destabilizzanti. La vocalist dipinge momenti immensi sull’incedere occulto e rabbioso di “Nocturnal Veil”, scavando un geniale contrasto tra voce e strumenti… quasi si trattasse di due canzoni distinte che ad un certo punto decidono di unirsi nella carne e nello spirito dentro una notte senza fine. Misteriosa “Zero”, prima della conclusiva“The Weeping Song”, un brano con radici doom ed evoluzioni prog nel quale Erba del Diavolo duetta con l’ospite Davide Straccione degli Shores of Null. Tutti i pezzi vantano sempre un tocco di classe e, tanto per chiudere il cerchio in tema di ospiti, va detto che il disco offre anche una elegante performance di Vittorio Sabelli (Dawn of a Dark Age, Notturno) con il suo favoloso clarinetto, ascoltabile su “Covenant”, “Red as the Sex of She Who Lives in Death” e ”Nocturnal Veil”. Una band fuori dal comune, che si erige su basi black e doom facendo però scelte -voce in primis- in palese controtendenza. Due bassisti per aver un suono più cupo, un totale libertinaggio stilistico, un range di influenze praticamente illimitato. Tra dolore della carne e strazio dell’anima, dentro in un labirinto occulto dal quale è impossibile uscire, avvolti in una nebulosa esoterica, attraverso le arti arcane della magia, consapevoli della dannazione terrena, verso una dimensione spirituale.
(Luca Zakk) Voto: 9/10