(Lövely Records) Qui il metal non c’entra, almeno non a livello sonoro. I Priest, svedesi, sono un’idea prodotta da Alpha e con la guest performance di Air, due ex Nameless Ghoul dei Ghost. Se le informazioni trapelate con la causa legale dei Ghost sono vere, questo progetto ha qualcosa a che fare con il chitarrista Simon Söderberg e il tastierista Mauro Rubino … ma anche in questo caso regna il mistero assoluto e, nelle foto, la band appare mascherata… ai confini tra tribale sciamanico e sado/maso. A questo punto dubito che i due ex Ghost citati abbiano solo quei ruoli marginali all’interno della band… “New Flesh”, nuova carne, è dannato darkwave, è musica degli anni ’80, musica di un’epoca passata che sognava un’epoca tutt’ora futura. Siamo in palesi territori Depeche Mode, con divagazioni The Chemical Brothers, passando per tutto il mondo elettronico proveniente dalla Finlandia. Totalmente digitali, totalmente dance, totalmente groove and beat… con linee vocali suggestive, calde e provocanti. Sono del parere che questo materiale, nella prima metà degli anni ’80, sarebbe diventato leggenda, dando luogo ad un milione di remix per dieci milioni di dance floor invasi da corpi sudati che ballano, amano, provocano, bevono, sballano… fino a notte fonda, fino ad alba inoltrata, e poi ancora, più avanti, più oltre, senza limite. “The Pit” fa vibrare i muscoli e già da subito dimostra un gusto ritmico supremo ed una performance del vocalist di assoluto prim’ordine. Rock potente in malato remix digitale con la fantastica “Vaudeville”, uno di quei brani che all’epoca nascevano heavy per scatenare headbanging e finivano in un tripudio di remix per accendere sensuali ancheggi in pista sotto luci pregne di isterismo psichedelico. Superlativo il singolo “History in Black“, altro brano con una linea vocale immensa, ed un feeling 80s così intenso e delizioso. Robotica e con un gelo ricco di calore “Populist”: brano che trasuda trance, ipnotismo, sballo e deviazione totale, suoni e idee che i Prodigy avrebbero sviluppato con una violenza inaudita. Emergono i Depeche Mode con palese e meravigliosa prepotenza su “The Cross”, esplode l’erotismo con “Private Eye”, un erotismo che si erge su un beat con un groove che è la fine del mondo (con Michael Jackson che è palese e ovvia ispirazione totale). Elettronica oscura ed piena di occulto con “Nightmare Hotel”. Pace dei sensi digitale con “Virus” e “Call My Name”, prima della conclusiva, epica, sexy e coinvolgente “Reloader”. Lo ammettono loro stessi: ‘Priest è una synth band che crea musica radicata nella vastità dei sogni elettronici. Lo scopo della loro profezia multiforme è guidare in sicurezza l’umanità verso il prossimo passo dell’evoluzione, la fusione con le macchine’. Vi garantisco che ogni istante di questi trentasei minuti è cinicamente pensata per realizzare questo piano malvagio, assurdo, ma decisamente non improbabile. Uno scenario dove la nuova carne è fatta di circuiti integrati stressati, ed i nuovi dispositivi digitali hanno vene pulsanti, tanto che vivono, soffrono e muoiono sanguinando sangue di un rosso fosforescente. Un debutto travolgente nel genere. Un orgasmo digitale, che scatena un orgasmo carnale. Di intensità inaudita.
(Luca Zakk) Voto: 9/10