(Steamhammer / SPV) E’ ancora il tempo dei Pro-Pain? Gary Meskil (basso e voce) è l’unico rimasto dalla fondazione della band; Dan Richardson (batterista e co-fondatore) lasciò poco prima dei 2000 e il bravo Tom Klimchuck non molto tempo fa. La band ha mutato la sua identità, ma il quattrodicesimo album dei Newyorkesi è hardcore/metal allo stato puro, cioè fatto con cadenze appunto hardcore con suoni pregni di groove e durezze metal. Il marchio dei Pro-Pain è questo. Aggressivi e pesanti come sempre e se l’identità esteriore è cambiata, la sostanza della musica è invece quella di sempre. In questo “The Final Revolution” si avverte un clima novantiano, ovvero un connubio hardcore/metal dal peso enorme e grazie a ritmiche sostenute, massicce e con chitarre che sembrano macigni che rotolano. Meskil è rabbia pura, urlata con voce roca e sempre tesa al suo massimo. E’ dunque ancora il loro tempo? Questo sound è uguale a se stesso da sempre e forse è una delle poche e sincere espressioni rimaste. Rappresenta un’epoca, un filone, un sound che ha il suo posto nella genealogia del metal. Tuttavia colloca i Pro-Pain tra le band per appassionati, i quali godranno ancora una volta delle forzute chitarre e possenti ritmiche, ingessate in un thrash metal contaminato anche, e non solo, dal punk/hardcore. Avrei gradito qualche assolo in più da loro, avrei voluto qualche taglio maggiore delle melodie, ma con i Pro-Pain non si scherza: si tira avanti con forza, come un incontro di pugilato che va avanti a pugni fino alla fine. Anche stavolta credo che la band abbia fatto la sua parte, nel segno di una rabbiosa tradizione.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10