(Autoproduzione) Rémi Vanhove nel 2009 creò questo progetto giunto questo anno al secondo album. L’autore, coadiuvato da altri tre colleghi, si ripresenta con qualcosa che tenta di presentare un insieme di idee quasi ‘metafisiche’. Gli Psygnosis fondono insieme più aspetti del metal, ma non è solo una questione di generi o delle principali correnti, è di per se il comporre, l’idea delle strutture dei pezzi e spesso anche i suoni che tergiversano su percorsi musicali inattesi, ideali, teorici…metafisci. Un metal astratto, dallo spitrito aleatorio, informe. Atmospheric metal, se preferite. “Phrase 6” apre l’album con toni tra il post death metal e il djent metal, per poi sconfinare in una sezione elettronica e prima ancora c’è e si respira un’aria quasi industrial. Da precisare che i brani, almeno quattro su sette, superano i 10’ (“Hurricane” arriva a 14’ e oltre) e nel complesso questi rappresentano quasi delle suite. Momenti tra il metal e una rarefatta psichedelia o semplicemente escursioni strumentali che sollevano l’ascoltatore in dimensioni inattese, soavi si, ma molto, molto claustrofobiche per certi aspetti. Un sound pieno, denso, fluente, pieno di toni oscuri. Cerebrale, profondo. Le pareti prettamente metal sono molto robuste, le distorsioni sono gonfie e questo spessore sonoro è anche determinato dal tipo di formazione: due chitarre, un basso, un cantante e una serie di programmi e basi e cose computerizzate (anche un violoncello, come in “Sil3nt”) ed elettroniche. Qualcosa che dunque non permette un semplice e classico scorrere degli strumenti canonici. Le chitarre divampano in riff pesanti, ma vengono soffocate da arpeggi, parlati, sequencer, elettronica seminale. Il basso pompa, esplode, implode. Segue un processo che a tratti è simile alle chitarre, nelle partiture, ma di sovente si stacca e pronuncia cose sue. L’unica cosa che mi ha lasciato perplesso è che la struttura dei pezzi spesso sembra ripetersi, anche se alla fine sono le melodie malinconiche e grigie a dare il vero tono differente al tutto. Forse i momenti più djent metal non offrono spiccate peculiarità, anche se sono parti comunque piacevoli e con il fatto di non avere una vera batteria, il tutto sembra come un continuo esplodere di bombe anti-uomo. L’ essere vivaci, arrivare in ogni brano a mischiare le carte e inventarsi scenari nuovi ed opposti al caos mastodontico che gli Psygnosis creano, rende “Human Be[ing]” qualcosa di veramente al di fuori dagli schemi, o almeno per alcune sue parti. Forse stanno facendo le cose ancora con calma i Francesi, cioè non sono ancora esplosi nella loro totale libertà creativa. Qualcosa in loro non è ancora del tutto metafisico, cioè totalmente libero di poter sperimentare ma in futuro forse lo sarà…boh, forse tutto ciò lo spiega con un passo dei loro testi: ”I crawled like a slave to walk like a king”.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10