(Century Media) I nuovi Queensrÿche, capitolo tre. Nessuno aveva detto che il rimpiazzo di Tate sarebbe stato facile ma d’altra parte non si poteva continuare con una situazione per cui da “Promised Land” in avanti solo “American Soldier” poteva definirsi un buon lavoro, “Operation: Mindcrime II” a parte. La Torre, di nome e di fatto, era forse l’unica vera speranza per il gruppo dopo la parabola discendente che stava rischiando di trasformarlo in un baraccone delle stupidaggini mediatiche. Un azzardo assolutamente vincente se si pensa al debutto della nuova formazione che emblematicamente se ne usciva con un album omonimo. Possiamo dire oggi che “The Verdict” completa un ipotetico e probabilmente non intenzionale trittico in cui finalmente la forma della band è stata definitivamente riplasmata e la nuova creatura nata può allora camminare con le proprie gambe senza l’affanno di girarsi indietro in continuazione. Ma non solo, “The Verdict” è un album dal suono talmente semplice e accattivante che sembra il debutto di un gruppo, un ritorno alle origini quasi totale e di fatto spiazzante per molti versi. La Torre sostituisce in fase di registrazione anche la batteria e dimostra in modo a mio avviso incontrovertibile che non è più un artista “buono ma non eccezionale”, bensì un’entità completa, finalmente riconosciuta appieno nella sua professionalità e passione. “Blood Of The Levant” apre il lavoro insinuando tantissimi punti interrogativi nell’ascoltatore, portando rimembranze ancestrali dei primissimi Queensrÿche, quelli più tribali, meno prog e molto più diretti. Canzoni come “Light-years” fanno capire, come probabilmente si intuisce dalla rece, che negli anni questo album diventerà un classico della discografia del gruppo. Semplicissimo eppure efficace, lineare eppure vincente, questo lavoro non manca di nulla, presenta molteplici sfaccettature pur essendo esattamente in linea con il suono tipico del gruppo. Una vera sorpresa di inizio anno.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 9/10