(autoprodotto) Red Morris, ovvero Maurizio Parisi. A volte non occorre andare lontano per trovare certe cose. E per lontananza intendo sia spazio che tempo. Il virtuosismo alla chitarra, tipicamente appartenente agli anni ’80 (Yngwie Malmsteen, Marty Friedman, tra i tanti) era una cosa assoluta: immagine, scena, scalata dello stardom. Gloria. Red Morris se ne frega di tutto questo, anche perché oggi non è ieri e la scena è profondamente mutata. Ma il valore del virtuosismo resta, il piacere immenso nell’ascoltare un album strumentale totalmente dedicato al dominio della tecnica, al groove, all’efficacia, a suoni, melodie, assoli, passaggi che diventano immediatamente leggendari, che fanno sognare ad occhi aperti, che fanno chiudere gli occhi per un totale abbandono. E in questo virtuosismo Red si muove con naturalezza, anche grazie al suo avvicinamento alla musica che trova le origini durante la sua infanzia. Con a fianco degli ottimi perfomers (Claudio alla batteria, Renato al basso, Beppe alla tastiera) Red riesce a materializzare, dopo anni di gavetta e cover bands, un album, otto tracce, mezz’ora di emozione senza confini, senza limite, offrendo un tributo sonoro -il quale spazia dall’hard rock al blues- a quelle sonorità squillanti che hanno alimentato i nostri sogni durante quell’epoca durante la quale un infinito bending vicino al ventiquattresimo tasto del manico della chitarra veniva diffuso da immense strutture composte da possenti amplificatori, per dare vita ed energia a teatri, arene, stadi, emozioni. Un tributo alla musica, un tributo alla tecnica, un omaggio alle sensazioni. “Golden Angel” regala trionfo che diventa grinta ed energia. La title track rende omaggio al signor Yngwie, “Mystery” è un concentrato di armonia che riesce a toccare sonorità Maideniane. “Independence” omaggia Friedman, mentre “Black’s Eyes” è prog metal, riff taglienti, è potenza, sembra un pezzo in qualche modo legato ad uno dei due album dei Cacophony! Riflessiva ed arricchita da un assolo fantastico “Celtica”, mentre l’immortale blues di “My Life Blues (Go Go)” trasmette una forza esplosiva evidenziando ancor di più l’ottimo ensemble dei musicisti coinvolti, ed in chiusura l’intensa ed introversa “My Sea’s Echoes” trasforma la malinconia in suoni sublimi ed irresistibili. Solo 33 minuti e 33 secondi. Ok, è sessagesimale, ma è impossibile non pensare a 33 e 1/3, la mitica velocità di un vinile. E poi, diciamocelo, il debutto di Malmsteen durava solo 5 minuti in più, ma è diventato eterno. Non è la quantità del tempo il valore in campo. È l’intensità di questo tempo. E questo “Lady Rose” offre un’intensità emotiva infinita, musica che piega la percezione, dilata i minuti, accompagna dentro il sogno.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10