(Nuclear Blast Records) Secondo full length per Reliqa, poliedrica band australiana fautrice di un sound decisamente intricato che ingloba svariate influenze e che riesce a rendere i brani decisamente accattivanti, nonostante un tasso tecnico esorbitante. Con questo secondo album la formazione ha trovato una formula in grado di bilanciare alternative, nu-metal, djent, metalcore, prog e jazz e tutto ciò che si avvicina a questi stili, il tutto messo al servizio di linee vocali eccezionali, grazie alle illimitate capacità di Monique Pym, capace di passare con naturalezza da parti rappate a melodie soavi inframmezzate da esplosioni aggressive. Tutte le caratteristiche qui descritte fanno capolino sin dall’opener “Dying Light”, introdotta da tastiere paranoiche dal sapore dubstep e dalle vocals rappate e giocose, prima di venire investiti da un riffone monolitico e pesantissimo che prelude a una serie di brevi virtuosismi di chitarra e pattern di batteria jazz-fusion. “Cave” è dominata dai synth, in grado di creare una tensione disturbante e di dialogare con le chitarre ribassate, richiamando le atmosfere dei Deftones di “White Pony”, ma rivisti in salsa djent. L’abilità compositiva della band fa sembrare facile ed elementare anche cose effettivamente ultra cervellotiche, basta ascoltare “Killstar (The Cold World)” per rendersene conto: il brano passa con notevole naturalezza da partiture mathcore a scariche metalcore, con assoli degni del miglior prog. “Sariah” è melodica e malinconica, con Pym che può esprimersi in tutta la sua estensione vocale, mentre “Keep Yourself Awake” strizza l’occhio alla follia dei primissimi System Of A Down, soprattutto nel cantato, mentre la sezione ritmica alterna mazzate nu metal a fughe funky, con il basso slappato in rilievo. Un album impossibile da catalogare, per una band che non si limita a seguire un tipo di sound, ma piega svariati generi al proprio volere, creando un qualcosa di unico ed innovativo.
(Matteo Piotto) Voto: 10/10