(Xtreem Music) Chi ha scritto questo pezzo quando ha affrontato Rogga Johansson e i suoi sterminati progetti, ha precisato fino alla noia che fossero appunto tanti, troppi per un musicista votato a una sovrapproduzione che in certi casi è stata controproducente. Succede da anni ma ogni volta che il chitarrista, multistrumentista e cantante, noto per la sua appartenenza ai Paganizer, in primis, ha pubblicato come Ribspreader qualcosa di speciale – non male anche certe illuminazioni con i Megascavanger – mettendo in atto tutta la sua creatività. Dal 2016 Johansson si lascia affiancare da Taylor Nordberg, chitarrista solista che ha militato nei Massacre, ha lavorato con i Soilwork ed è un pilastro dei Deicide, nonché da Jeramie Kling, batterista che ha militato anche lui nei Massacre, Venom Inc. e tra le tante cose ha anche lavorato dal vivo con Doro. Due elementi di spicco e con un background addirittura comune, perché oltre ai Massacre hanno suonato anche con Gus G. e altri. I lavori dei Ribspreader sono il viscerale e tipico death metal tdella Svezia, quello della prima ora ma suonato ovviamente con una metrica moderna. C’è una solida melodia che si sviluppa nei pezzi e un riffing estremamente dinamico, tecnico, con evoluzioni che cementificano questo sound dandogli per l’appunto uno status concettuale che è un misto di solidità, forza, e una cinica melodia che avvolge un death metal dai canoni oscuri a tratti standard ma sulfureamente svedesi nella sua estrazione. Anche “Reap Humanity” appartiene a questa matrice sonora, a questo modo di suonare tosto, concreto eppure capace di coinvolgere e rendere un album, il decimo della band, come se fosse un’opera estratta da un lontano passato e rimestata a dovere per presentarla con una dovuta forza e concretezza tali da scardinare l’ascoltatore. Con i suoi momenti old school, con certe sue cadenze di un death metal che ricorda un incrociare Cannibal Corpse e Obituary dissolutamente e pesantemente, come in “Count Damnation”. Si avvertono anche soluzioni come Asphyx oppure Autopsy. Johannsson canta, suona la chitarra, ma si limita alla ritmica e il basso, creando ossature di pezzi che pestano in maniera concreta e con un loro struzzicante taglio artistico. Il death metal rielaborato in certi momenti con maniere melodic, ma soprattutto il genere rivisto alterando certe scelte legate a un modo old syle che suonato da maestri di tale livello ha sempre un suo fascino.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10