(Sounds of Subterrania) Secondo album per i danesi Riverhead, un album che non si limita a suonare… piuttosto si impegna a gridare, ad urlare con energia quel suo ribelle senso di disperazione. Un album che è rock, che è punk, che viene da esperienza hardcore per una band che proprio in seguito al debutto e gli innumerevoli spettacoli si ritrova senza il vocalist, nel frattempo fuori uscito dal gruppo. Basta cercarne un altro, giusto? Mica facile, mica scontato… specie con una cazzo di pandemia che sconvolge ogni piano. Ma non si molla, si insiste, si registrano i brani, tutti strumentali, tutti rabbiosi, tutti spontanei… fino alla registrazione sotto il controllo dell’amico e produttore Jacob Bredahl… il quale tutto ad un tratto si ritrova con il microfono in mano, diventano l’elemento mancante, quel grido iracondo che la musica dei Riverhead vuole riversare sul mondo, scaricando sensi di colpa, malattie, lotte, delusioni, cadute seguite dall’impegno di tornare in piedi, mostrando i pugni, senza arrendersi mai. La linea di basso di “Time” pulsa grintosa dando vita ad un brano fottutamente punky. “Broken Boy” scatena, “Love Cuts” ha l’energia e l’incedere che troviamo nei brani Richie Ramone… con una componente melodica favolosa. Tetra, oscura, decadente “Numb To The World”, rocambolesca “Torches”, quasi metal “The Rusty Sound Of Love That Dies”, sconvolta e fuori di testa “Survive”. Intensa la performance acustica di “0806”, prima dell’intermezzo “Erupt” che conduce all’epilogo rappresentato dalla disperazione poetica espressa da “Karma”. Diretti, scatenati, meravigliosamente spontanei. Un album che parla di vita, che parla di morte, che parla di sopravvivenza… sia essa della carne o della mente, o forse anche dello spirito stesso. Musica dinamica, ricca di una forza positiva che si erige sulla ribellione, sull’andare contro corrente, il tutto con immensa musicalità e una certa accattivante imprevedibilità.
(Luca Zakk) Voto: 8/10