(Pitch Black) La formula è rodata: i Sacred Blood prendono un mito o un avvenimento storico della loro terra d’origine, la Grecia, e lo mettono in musica con buon mestiere e qualche sincero picco d’entusiasmo. L’esordio fu dedicato alle Termopoli; seguirono le vicende di Alessandro Magno (QUI la recensione), e ora tocca al racconto degli Argonauti e della ricerca del vello d’oro. Musicalmente parlando, le somiglianze con “Alexandros” sono moltissime, ma se la squadra vince… perché cambiarla? Dopo l’intro di rito, come sempre epica e maestosa, “Hellenic Steel” portà con se venticinque anni di metal underground greco: arpa, ritmi stentorei e ritmati, intermezzi parlati che raccontano di gesta epiche, e un refrain fatto per l’esecuzione live. È evidente la matrice che unisce i Sacred Blood a Arrayan Path, Battleroar, Airged L’Ahm, Elwing, Validor e tutte le altre formazioni elleniche che, da anni, tengono alta la fiamma di questo power metal barbarico! Tastiere potenti e cori nel mid-tempo “Hail the Heroes”, agile cavalcata è invece “Legacy of the Lyre”; interessante anche “To Lands no Man hath seen”, pervasa da un’aura magica e ombrosa. “O’ver the Tomb (Beyond the Pillars of Heracles)” è l’immancabile Mediterranean folk ballad con voce femminile (a me sembra Hildr Valkyrie, ma non trovo conferma da nessuna parte); dopo la serrata “Enchantress of the East”, il disco si conclude con le due parti di “The golden Fleece”. La prima è una lunga intro quasi cinematografica, con una lunga recitazione da Apollonio Rodio; la seconda è una tirata epica nel senso più puro del termine, ancora una volta imponente e cadenzata. Certo, non siamo davanti ai Manowar dei tempi d’oro, ma i Sacred Blood restano dei capaci artigiani di questa musica sognante.
(René Urkus) Voto: 7,5/10