(Code666 Records) Quel portale socchiuso. Quell’irresistibile richiamo. Quel desiderio inconscio di varcare la soglia, verso la più luminosa delle oscurità. Una sensazione magica. I primi gesti propiziatori, per un rituale eterno, infinito, il rituale della morte. E’ proprio la copertina di questo album che, come una sirena, incanta ed attrae. Un magnetismo magico che porta a coprire la distanza, camminando su quei verdi pascoli verso la montagna, verso l’ultimo accesso, verso l’ignoto. Oltrepassare il portale significa abbandonarsi a 47 minuti di musica imponente, la seconda opera dei belgi Saille. Con estremo piacere la loro proposta è la risposta, la soluzione, la redenzione. Vi eravate mai chiesto che fine avesse fatto il Black Metal Sinfonico? Molti dei grandi nomi del genere rischiano di essere una caricatura di loro stessi e soffrono una crisi creativa, una mancanza di idee terribile. Questo non succede ai Saille, i quali riescono a costruire qualcosa di estremamente radicato nel genere, ma con spunti nuovi, elementi freschi, proposte accattivanti. Masterizzato da Tom Kvålsvoll (Dimmu Borgir, 1349, Mayhem, Taake, ecc), questo “Ritu” è un album estremamente ben strutturato, dove c’è un costante legame dall’inizio alla fine, quasi si trattasse di un concept album. Diversi strumenti non convenzionali per il genere, quali trombone, tuba e violino, sono suonati da musicisti ospiti, anziché creati elettronicamente, contribuendo alla creazione di un suono più reale, ricco, percepibile. Da un’impostazione sonora di base che ricorda i Dimmu Borgir di “Enthrone Darkness Triumphant”, i Saille riescono a progredire con l’aggiunta di sensazioni e particolari che danno ai nove pezzi quell’odore di incenso, come se si trattasse della colonna sonora dei vari rituali di morte cantanti dalla feroce voce di Dennie Grondelaers. Senza stravolgere le radici del genere, questi musicisti sono in grado di offrire un rinnovato senso di oscurità e paura. “Subcutaneous Terror” è il pezzo più diretto e d’impatto, con i suoi feroci assoli di chitarra. Forse proprio il pezzo che più ricorda il famoso album dei Dimmu Borgir. “Fhtagn” è un capolavoro. Perversa ed infernale, esplora il lato oscuro della mente, dei sogni, dell’incoscienza. “Upon The Idol of Crona” si tuffa nei concetti più satanici del genere, con un pezzo grandioso, imponente, anch’esso ricco di quei dettagli che rendono la musica dei Saille molto personale. Inquietanti i cambi di tempo di “Sati”, mentre è semplicemente unica la settima traccia intitolata “Haunter of the Dark”, completa, offre tutto ciò che ci si può aspettare da una gran canzone di black metal sinfonico. E’ catchy, furiosa, peccaminosa. Decisamente ben riuscita, superata solo dalla seguente “Runaljod”, un intrigante pezzo, il mio favorito, che spazia da un’aggressività senza limiti ad un passaggio atmosferico, angelico, con voce femminile, prima di tornare furioso, proporre un bellissimo assolo e concludersi in maniera drammatica. La conclusiva “Ritual Descent” è “un altro” esempio di come si debba comporre del black metal sinfonico, una chiara dimostrazione di come si sia evoluto questo genere, e quale sia la direzione che deve prendere. Album perverso ed eccellente, capace di dissetare la vostra sete di malvagità. Con “Ritu” viene naturale seguire quella luce infetta, varcare la soglia, chiudersi il portale alle spalle, per abbandonarsi definitivamente ai piaceri delle tenebre.
(Luca Zakk) Voto: 8/10