(Season of Mist) Siamo vicini ai quarant’anni di carriera per i Saint Vitus (con questo moniker, però contando la precedente incarnazione chiamata Tyrant, i quaranta sono già passati). E siamo al nono album in studio, il quale si affianca a vari live ed EP sparsi in una lunga carriera disturbata da cambi di line up e lunghi periodi di inattività. In questo album omonimo (in realtà è il secondo album omonimo in quanto anche il debutto del 1984 si intitolava così) i Saint Vitus offrono un ampio ventaglio di approcci alla loro musica, al loro doom, genere che trova in loro tra i padri fondatori; tra le altre cose il nuovo “Saint Vitus” vanta la presenza del vocalist del primo “Saint Vitus”, Scott Reagers, tornato in line up nel 2015, tanto che questo album in studio è una specie di nuovo debutto, in quanto è di fatto il primo dal ritorno di Reagers. Nove brani, dove la pesantezza del doom si alterna a momenti psichedelici o parentesi veloci, cosa alla quale i Saint Vitus non sono mai stati allergici. “Remains” è lenta e pesantissima, e su quei riff inquietanti si scatena una chitarra disturbatissima. Lenta e oscura “A Prelude to… “, un’oscurità dominata dal suono del basso. Metallo potente, scorrevole ma dallo stupendo feeling vintage su “Bloodshed” e “12 Years In The Tomb”. Quella tipica ed apprezzata atmosfera tetra, lenta e drammatica ritorna con le schizoidi “Wormhole” e “Hour Glass“, mentre “City Park” offre quattro minuti di puro terrore, una traccia di puro ambient in perfetta sintonia con un film dell’orrore, tanto da essere considerabile una lunga introduzione alla lacerante “Last Breath”, prima della breve e conclusiva “Useless”, un brano che è decisamente di matrice punk! Ormai senza tempo, con un Dave Chandler mai stanco di comporre e tener a tutti i costi in piedi la sua band: questa è storia, questo è doom, questo è heavy metal di vecchio stampo, prima delle mode, delle tendenze, delle ricercatezze tecnologiche!
(Luca Zakk) Voto: 7,5/10