(Nordvis Produktion) Il nord. Il mitico nord. Irraggiungibile e talvolta inabitabile. Freddo. Glaciale. Oscuro. Vasto ed ancora selvaggio, lontano dall’uomo. Lassù il tempo scorre con un ritmo diverso… tra giorni senza tramonti e notti senza alba, con i venti che soffiano impetuosi, dove la pioggia cade nervosa e la neve si deposita silenziosa. Un paesaggio crudele, come madre natura, ma anche magico e stupefacente… l’altra faccia di madre natura. Lassù, nel Norrland, terra di provenienza di questa one man band (A. Petterson è anche il proprietario della Nordvis, nonché vocalist degli Stilla), terra ubicata nel nord della Svezia, una terra molto vasta ma poco abitata a causa di un clima estremo… lassù dove persiste la magia, l’armonia, la vera solitudine, la più profonda visione introspettiva della foresta, dell’uomo. Dell’anima. Ebbi a che fare con Saiva quando uscì lo split con i Grift (recensione qui), uno split che presentava al mondo la potenza etnica e folk di questi due ottimi progetti. Grift è già giunto al secondo lavoro (qui e qui) ed ora a ruota segue anche Saiva, per completare quella visione spirituale, oscura, inquietante e folkloristica di una cultura volutamente confinata oltre le latitudini artiche. Una visione ampia che trova la collaborazione proprio di Erik Gärdefors dei citati Grift, J. Kaarna dei Tervahäät ed Austin Lunn dei Panopticon … quasi come se “Markerna Bortom” fosse una congrega di stregoni legati inscindibilmente alla purezza, all’odore della terra, all’origine di tutto. Immaginate quella natura. Quei silenzi tuonanti. Quel verde intenso o quel bianco lacerante. Percepite il freddo. L’umidità. L’instabilità di una natura che rifiuta di fondersi con l’uomo, una natura per i più temerari, una natura nella quale l’uomo deve adattarsi, ponendosi in secondo piano, con timore, rispetto ed umiltà. Non so quanto fervida possa essere la vostra immaginazione, ma “Markerna Bortom” vi garantisce un viaggio mentale sconvolgente, dentro quella natura, dentro culture ed usanze lontane ma anche vicine, concettualmente connesse alle nostre più ancestrali tradizioni, quelle delle montagne, quelle di lande desolate, quelle che regolavano la vita di piccoli nuclei umani, prima della vera civiltà, prima dei viaggi, prima delle fusioni culturali o della fondazione delle città. Siamo alle origini dell’uomo inteso come componente integrante della natura, non suo nemico, non un suo avversario o contendente. Arpeggi che addentrano altrove, nello spazio e nel tempo con “Lávket”. Immensa “Nordmarkens älvar”, rock e folk che si fondono con l’atmosfera, con cori suggestivi ed epici. Provocante e tagliente “Där vindar vänder”, altri cori che inseguono una voce estrema, melodie immense ed arpeggi che catturano la mente. “Varsel i vildmark” riassume concetti dark-folk, “Mykät loitsut” trasporta, conduce e travolge, mentre la conclusiva “Nordan” congeda con trionfo tribale ed una infinita nostalgia. Album suonato con maestria: ogni strumento esaltato in maniera sublime, dalle chitarre acustiche a quelle distorte, dalle fantastiche linee di basso alla batteria cadenzata e rituale, con linee vocali che alimentano sogni e fantasia. Un album che sembra solamente una visione nostalgica di tempi andati, perduti, forse dimenticati. Ma la verità è più profonda: quei tempi non sono perduti, in quanto sono parte dell’eternità… e noi piccoli e frivoli umani siamo solo un battito di ciglia dentro un infinito al quale abbiamo rubato un po’ di spazio, con egoismo e stupidità; un infinito con il quale dovremo fare i conti prima o poi, forse in un tempo lontano, forse vicino. Intanto madre natura aspetta crudele ma paziente in quanto l’attesa sarà breve: solo qualche altro battito di ciglia.
(Luca Zakk) Voto: 10/10