(Synthetic Symphony) Curiosamente solo adesso che le mie dita si poggiano sulla tastiera, arrivo alla consapevolezza che Klaus Schulze non dovrebbe comparire in Metalhead. Per chi non lo conoscesse, Schulze è stato il batterista dei Tangerine Dream, ai loro esordi, e degli Ash Ra Tempel, diventando poi una personalità di spicco non solo del Krautrock ma della musica come compositore, sperimentatore, musicista a 360°, nel suo impegno nel ricercare le migliori soluzioni ed utilizzo di strumenti, come l’uso del moog. Klaus è una personalità, un simbolo eterno, uno che non si può ignorare e soprattutto è autore di ore, mesi, forse anni di musica. Non si conosce il numero esatto di album che ha inciso o ha preso parte e badate che ha collaborato con tanti. “Shadowlands” è un nuovo lavoro in studio, dopo sei anni da “Kontinuum” e alcune pubblicazioni live, ricavate da un’intensa serie di concerti. Un ritorno che merita qualche parola, al di là dei contenuti. Composto da tre brani con un tempo totale di riproduzione di 75’ sul primo CD, “Shadowlands” propone anche un CD bonus con due tracce, una da 55’ e l’altra di circa 18’. La prima è “Shadowlights”, di poco oltre i 41’ in cui un synth galleggia sovrapposto ad altri e creano onde di piacere sonoro che si dilatano e in esso subentrano inserti del violino di Thomas Kagermann, il quale collaborò con Schulze nel 2010. Il sound è evocativo, soave, dilatato nel tempo. Una carezza infinita, come un’escursione tra le nebulose dello spazio, gli oceani di un blu infinito o i percorsi in civiltà antichissime. Attenzione però, ho scritto synth e di sicuro ci sono anche quelli, ma Schulze possiede aggeggi di una volta e utilizza anche i nuovi supporti tecnologici e dunque una semplice tastiera filtrata o corretta dall’elettronica, vintage e non, diventa un’orchestra. C’è tutta una discografia a testimoniare opere realizzate con un paio di moog e banchi di oscillatori, generatori, filtri ed effetti vari che pilotavano le note suonate. “In Between” ha la stessa piacevolezza del suono di un gocciolio continuo dell’acqua all’interno di una caverna (una sorta di percussione artefatta col moog) e sullo sfondo sempre quei sintetizzatori o moog che tinteggiano ombre per 17’ e una percussione più solida subentra nella parte terminale del pezzo e solleva la presa che questo brano riesce ad avere. Tutto si riversa nella seguente “Licht und Schatten”, altri 17’ e più con l’apertura di una voce che canta (vacci a capire se è un tenore o è Klaus che ha manipolato tutto). Anche qui pian piano entra un ritmo che scorre e cresce e aumenta la celestiale e inquietante melodia generale, la quale acquista pathos con la voce femminile dai modi anche mediorientali. Il pezzo si conclude come se si ascendesse al cielo, fin sopra la cerchia angelica. Il secondo disco propone “The Rhodes Violin”, 55’24”. Un’eternità che passa, finisce. E’ una composizione che stenta a carburare, con il suo inizio sommesso e poi molto tempo dopo i primi impeti e le prime evoluzioni di Kagermann, semplicemente delicato e meraviglioso nei suoi inserimenti. “Tibetan Loop” per soli 10” non arriva a 18’. L’incipit è costituito da una serie di onde distorte, molto Krautrock dei primi tempi. Nel proseguire i moog prendono la scena, ma con tono aggraziato e giungono anche vocalizzi maschili e femminili a conferire a questa ultima composizione un carattere universale, supremo, non definibile. Shadowlands è…si, le terre dell’ombra. Non c’è d’aver paura. E’ un mondo svelato, ma è soprattutto ciò che oggi in pochi fanno, cioè musica come ricerca. Klasu Schulze è sempre stato avanti, creando cose che oggi sono di largo uso. Non a caso alla Love Parade di Berlino, 15 anni fa, uno degli organizzatori gli disse, mentre guardava i milioni di festaioli, “tutto questo è colpa tua”.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10