(The Church Within Records) Quinto lavoro per la band di Tim Schmidt e Phil Swanson, i quali dopo il fantastico ed eccentrico “Earthmother” tornano con un disco più lineare, più rock/doom, più “New Torch of Doom Rock Music”, come loro stessi si sono sempre definiti. Meno sperimentali dunque, più diretti, più efficaci. Forse più tetri. Ma molto tradizionali, diretti, catchy. Forse un passo indietro, rispetto al precedente (capo)lavoro, ma pur sempre un disco che contiene tutta la sincera creatività di due artisti così lontani (uno tedesco, uno americano) ma così vicini, così in sintonia. Se Tim sa materializzare riff classici ed oscuri, diretti ma ricchi, assurdamente catchy ma non scontati, Phil è uno dei migliori singer doom in attività, con la sua voce “Ozzy-alike” nota ai più per la militanza negli Hour Of 13. L’album convince immediatamente con la poderosa “Bestial Rising”: chitarra potente e sfacciata, una tastiera subdola e ricca, creano uno scenario perfetto per la linea vocale geniale di Phil, per l’intermezzo atmosferico, per l’assolo avvolgente. Un pezzo che annienta, irresistibile, con un ritornello che cattura, imprigiona e toglie ogni speranza di libertà. Molto più doom, molto più sabbathiana “Can’t Escape The Pain”: linea vocale lenta e incisiva, sofferta, priva di ottimismo, incastrata tra arpeggi decadenti ed effetti oscuri, trasudanti paura. La title track è un doom-rock privo di pietà: chitarre tuonanti, riff che fanno girare la testa, groove massacrante. “Scars Of The Emotional Stuntman” è immensa e sconvolgente: sembra uscita da “No Rest For The Wicked” di Ozzy, sia per impostazione vocale che per chitarra, mentre una vena melodica e prettamente Seamount emerge con la più romantica “Hold Up The Sun”, forse la canzone più vicina a “Earthmother”: fantastica! “Bulletproof” è scuola, è la via, l’unico sentiero da seguire: inizia sporca e priva di tutto, solo una chitarra devastata ed accennata ed una batteria con uno stupendo eccesso di piatti… per poi esplodere in un inno a decadenza, doom, rock… ed un ritornello che ribadisce un concetto di invincibilità immenso, un pezzo che è pura espressività nello stile di Schmidt. …O di Iommi. Coinvolgente “Beautiful Sadness”, schizofrenica e quasi punk “In The End”, strana e personalissima “No One Knows”, nella quale Phil nemmeno sembra Phil, la band sembra diversa, diverso il genere, ma unica la genialità e flessibilità creativa. Ok, non siamo ai livelli del capolavoro precedente, ma questi cinquanta minuti sono tuonanti: divagano, cambiano direzione, tornano alle origini, vanno oltre, esplorano ma poi sono conservativi. Un disco creato da artisti che non hanno limiti, imposizioni o pregiudizi. Fanno quel che gli piace, come gli piace, fondendo le idee dei due geni cerativi che si celano dietro a questo enigmatico moniker.
(Luca Zakk) Voto: 8/10