(Art of Propaganda) Secondo capitolo (anzi, il terzo ed il quarto) per i canadesi Seer che un anno fa pubblicarono volume uno e due sempre in un’unica soluzione (recensione qui). All’epoca erano due EP compressi in un unico album, questa volta ci hanno preso gusto e le due ulteriori parti nascono proprio come unico elemento. Un disco accattivante, provocante, nel quale il loro doom/stoner si esalta, si presta a scenari atmosferici e non ha alcun problema nello spingersi verso territori più estremi, ovviamente dominati da un ottimo growl, in alternativa alle diffuse clean vocals di stampo etereo e sognante. La lunghissima opener “Ancient Sands (Rot Preacher)” è galoppante, suggestiva, intensa e nonostante la durata imponente (oltre 10 minuti) mai noiosa. Sempre molto cadenzata ma con qualche accenno di violenza, specialmente vocale, “Acid Sweat”. Doom più granitico ed occulto con “They Used Dark Forces”, un brano che ingloba dettagli prettamente death metal. Tracce di idee settantiane e melodiche sull’ottima “Burnt Offerings”, mentre risulta estremamente coinvolgente la trilogia “I: Tribe of Shuggnyth”, “II: Spirit River”, “III: Passage of Tears”, dove emergono idee southern (nella prima parte), atmosferiche ed intense grazie ad una clean guitar molto ben suonata (seconda parte) ed ambientali (terza parte), con suoni della natura ed idee di stampo folk. In chiusura un brano dal titolo criptico, “संसार”, che un po’ riassume l’atmosfera etnico-ritualistica della trilogia, aggiungendo un aura etnica orientale, confermando quel ‘culto del vuoto’ recitato dal titolo dell’album. Album strano. Le prime quattro tracce sono di un genere, mentre le seconde quattro cambiano completamente direzione (anche se tecnicamente le ultime quattro canzoni coprono solo un quarto d’ora dei cinquanta minuti complessivi). Ma per quanto questa idea possa sembrare mal abbozzata, il risultato finale non è per niente male… ed è un piacere godere di potenza e grinta annegati in concetti eterei, con un epilogo che riassume il tutto in un ambito spirituale ed etnico. Un album strano. Ricco di idee, enfasi, sfiora il gotico, idee tipiche dell’Americana, sempre con quell’alone decadente tipico dello sludge. Un album che coinvolge, attrae e nonostante le stranezze invita sempre al prossimo ascolto.
(Luca Zakk) Voto: 8/10