(Argonauta Records) Due tracce. Oltre quaranta minuti di atmosfera. Drone? Ambient? Doom? Sicuramente gli Shabda non hanno confini, come dimostrarono con l’ottimo “Tummo” del 2014. E sono proprio i confini l’unica definizione non percepibile in queste due imponenti tracce, le quali integrano suoni oscuri, sonorità orientali (India, Tibet…), ritmi ossessivi, drumming progressivo, espressioni deviate e meccaniche in stile drone. Infatti le miriadi di fonti musicali dalle quali i piemontesi attingono non vengono mai ben definite, mai ben espresse, anche se sempre estremamente percettibili: ma questa è un’arte che rende il tutto meravigliosamente sfuggente, viscido, impalpabile… ed ogni volta che l’ascoltatore identifica un genere di base, ecco che tutto cambia, tutto muta, tutto evolve, tutto si intreccia offrendo uno spazio illimitato di espressività musicale, dove suoni, strumenti e voci sono tutti sullo stesso livello, con la stessa priorità, una infinita tavolozza di fonti sonore per dipingere un dipinto tutt’altro che statico, tutt’altro che stabile. E questa esaltazione artistica, questa devozione spirituale trova in “Pharmakon/Pharmakos” la perfetta realizzazione. Nota finale, ma non marginale: il legame della band con l’oriente va oltre la spiritualità e tocca l’umano: parte dei proventi della vendita della release saranno infatti destinati ai bambini delle popolazioni Nepalesi colpite dal terremoto, tramite Save the Children.
(Luca Zakk) Voto: 7,5/10