(Argonauta Records) Uno sguardo al social network di questo progetto tutto italiano, per leggere ciò che band stessa ha scritto: un laptop, un sitar, una chitarra. Combinazione di disciplina del suono, ripetizione e tantrismo relativo a Shiva. Ed è proprio la componente filosofica che, in maniera decisiva, porta allo stato d’animo necessario -obbligatorio- per capire questo album, per assorbirlo, per semplicemente ascoltarlo. I territori metal esistono per una divagazione drone remotamente doom, ma per gli Shabda si tratta solo di uno strumento utilizzato per costruire il loro messaggio musicale. Un messaggio complesso, contorto, spirituale, psicologico. Il trio è esattamente quanto descritto, ovvero Anna al sitar, Marco al computer (e percussioni) e Riccardo con chitarra e basso. Essenza dell’essenziale. Una porta che apre verso tre quarti d’ora (esatti) divisi in tre mastodontici capitoli, tre tracce che non sono solo musica, ma sono esperienza. La differenza, in questo caso, è veramente importante, in quanto la musica è un qualcosa che si può ascoltare, mentre l’esperienza, quella creata da “Tummo”, è un qualcosa da vivere, percepire, assorbire, elaborare con la mente, il corpo, i sentimenti, lo spirito. “Kamakhya”: si inizia da idillici paesaggi materializzati da suoni orientali (Indiani per la precisione), pieni di piccoli dettagli, come se ogni singolo accenno sonoro sia un elemento del paesaggio, un fiore, un alito del vento, un odore, un rumore. Ci si evolve verso il drone più sporco e osceno, caratterizzato da ritmi lenti, ossessivi, ripetivi, capaci di provocare la mente, distorcere la psiche. “619-626 Hz”: continua l’evoluzione. Preghiera e rituale che diventano musica ansiosa, musica che crea distorsioni, rende irrequieti per poi crescere verso il rumore, verso la purezza stessa del rumore. “Aurora Consurgens” si conclude con la rinascita, con l’uscita da un tunnel sonoro complesso, la fine di sentimenti pesanti, il ritorno verso un nucleo che manifesta origini allo stesso tempo tribali e divine, che mi portano a ricordare scenari sonori che ho sentito su bands geniali quali i Cult Of Fire. Questa è pura evoluzione della musica. Musica che assume una nuova dimensione rispetto a come l’abbiamo sempre concepita. C’è filosofia, ricerca scientifica, esperienze da provare, da percepire, da amare o odiare. C’è una ancestrale ricerca dell’io, un io che a volte è individuale ed a volte è collettivo: dipende tutto dall’apertura mentale con la quale ci si avvicina a questo capolavoro della nuova dimensione musicale.
(Luca Zakk) Voto: 8/10