(Pulverised Records) Questo album non mi ha convinto del tutto e forse solo per un discorso di preferenze personali. Però se avete sbirciato il voto, allora debbo motivare immediatamente il perché della differenza tra la mia affermazione e il numero posto in calce. Innanzitutto gli Skineater sulla carta sono una formazione rispettabile con gente che è passata, o è ancora in pianta stabile, nei Wombbath, In Thy Dreams, Dark Funeral, Carnal Forge, Defleshed e altri, e questo significa avere musicisti quanto meno di provata esperienza o abilità tecnica. Se è vero che “Dermal Harvest” è una contorsione di riff che si accavallano tra di loro e nel mentre i pattern della batte ria sono impressionanti, non mi piacciono quelle derive troppo verso il death metal più morbido, parzialmente melodico o comunque di stampo più o meno progressive. Ecco dunque il perché della mia insoddisfazione, visto che propendo sempre per i sound ruvidi e potenti e mai laccati o perfettini. Questioni personali. Tuttavia va anche detto, ecco un altro motivo per il quale ricredersi, che gli Skineater a differenza di una band spietata e che prosegue con i paraocchi della violenza, inseriscono momenti di melodia, progressioni, siparietti meno scarnificanti e più ragionati anche per dare respiro sia al brano che all’ascoltatore. Uso intelligente della materia metal. Gli scorci solisti e più leggeri di “Stab” alleviano le sofferenze da quei ganci sonori che si infilano nella pelle dell’ascoltatore. “Drifting” è la tipica cadenza old style svedese, il drumming è un martello in scioltezza, la voce di Jörgen Ström è una specie di Glen Benton e il brano ha dunque quel tocco old e di una precisa corrente di stile, ma allo stesso tempo non risulta poi eccessivamente datato. E’ un death metal di tipo europeo e lo si capisce in brani come “Thousand Dead Faces”, con blast beat turbinosi e riff che ruggiscono e un finale alla In Flames. “He Was Murdred” è a metà tra il melodic death metal e un incipit alla Behemoth, mentre “Dismanting” lascia maggiore spazio a sortite più selvagge. Anche “Bring Them” (classico alla Entombed, Grave, Dismember) è un dei brani che denota qualche finezza solista alle chitarre oltre agli inserimenti alla Stockholm style. “Solitude Discord” vede i primi secondi di natura black metal, per poi sterzare in modo deciso verso un deathcore massiccio, forse scontato, e poi giù con i blast beat e mid tempo slayeriani, mentre “Your Life Is Mine” approfondisce ulteriormente il discorso Slayer e “Made of Godsick” ha risvolti alla Morbid Angel. Bracciate violente e poderose, inserimenti che tessono trame melodiche, ma il tutto sempre nel clima di quella copertina spietata e disumana. A conti fatti “Dermal Harvest” è un album che si pone sul confine tra il death spietato e quello dai risvolti ragionati.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10