“La storia è fatta di eventi…E la storia va vissuta nel suo pieno”
(Steamhammer /SPV ) La storia è fatta di eventi e quelli li creano gli uomini. I Sodom sono un pezzo della storia del metal, del thrash in particolare, e il nuovo evento, quello che prosegue la loro storia, si chiama “Epitome of Torture”. Una storia che passa ancora una volta attraverso la sapiente produzione di Waldemar Sorychta e che vede Tom Angelripper e Bernemann affiancati dalla batteria di Markus “Makka” Freiwald (ex Everflow e altri, in formazione comunque già da un pezzo). L’ascolto si apre con “My Final Bullett” e il suo arpeggio iniziale, il pezzo poi monta progressivamente e arriva un ritornello con Tom in piena forma (nell’album propone anche una modulazione un tantino diversa rispetto al passato). Il ritornello che sa imprimersi nei neuroni dell’ascoltatore è una carta che Tom Angelripper si gioca più volte nell’album (“S.O.D.O.M.”, “Cannibal”, “Tracing the Victim”, “Into the Skies of War”). Emergene lo stile della band in tutta la sua classica essenza un po’ ovunque, la title track, “Shoot Today – Kill Tomorrow”, ma l’album ha le sue sfumature che sanno anche renderlo musicalmente un po’ diverso dal solito. Penso all’incipit tellurico di “Invocating the Demons”, la polka di “Katjuschka”, gli assoli di Bernemann a tratti più musicali dei consueti suoi standard. Il modo di comporre è meno claustrofobico, forse anche meno variegato, così mi sembra, a causa anche di una maggiore levigatura per via della pulita opera di Sorychta, ma in sostanza i Sodom del nuovo millennio, quelli da “M-16” in poi, si ripropongono in questo “Epitome of Torture”. Dominano la scaletta pezzi dal canonico stile teutonico e Sodom, come “Sigmatized” (m stranamente è un pezzo molto slayeriano), e canzoni dall’immediata semplicità e metabolizzazione, come “Into the Skies of War”. Alla fine sono se stessi i Sodom e lo sono in questo 2013, ovvero 27 anni dopo il primo album, 32 dopo la loro nascita. Una vita e nonostante tutto ancora in grado di potersi proporre nel mercato discografico con sostanziale qualità.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10
(Steamhammer/SPV) I Sodom sono una band strana. Estrema in tutti i sensi. Non è nemmeno ammesso dire che si possono amare o odiare. I Sodom si possono amare o semplicemente non conoscere. Fanno parte di quelle band storiche che vanno oltre lo status di mito. Si parla di istituzione, di essenza unica, inimitabile. Indistruttibile. Sono i Motorhead del thrash metal tedesco. Sono una band con una identità immensa, con uno stile mostruosamente personale. Questo loro quattordicesimo album risulta diverso dai precedenti. Esattamente com tutti i precedenti risultavano diversi da tutti gli altri. Certo, c’è stata l’epoca black metal, c’è stata l’epoca thrash, quella punk, poi ancora thrash, ma diversa da quella precedente. Si, perché “Persecution Mania” è un capolavoro di transizione. “Agent Orange” meriterebbe una definizione di genere a se stante. “Better Off Dead” ha uno stile unico, e se uscisse ora, forse, sarebbe definito un po’ thrash, un po’ death e, come sangue, colerebbero parole che lo accosterebbero a sotto generi di death alla svedese piuttosto che alla tedesca, all’americana, alla norvegese. “Tapping The Vein” è una cosa fuori di testa. Altro album senza genere, a meno che non si voglia (o si debba?) innalzare i Sodom a genere musicale. Gli album controversi così feroci ed incazzati, quelli appartenenti all’epoca “punk” sono comunque unici, e gettavano forse uno sguardo a quel vecchio hard core che negli anni ’80 era la devastazione pura. Con una progressione totale poi, a partire da “Code Red” il sound dei Sodom abbandonava quella radice punk a favore di una più thrash, un thrash più raffinato, fino al capolavoro del 2010, “In War And Pieces” che elargiva quelle sensazioni ferme al 1989, anno di “Agent Orange”. I Sodom hanno sempre fatto quello che volevano. Non si sono mai sottoposti a regole di mercato, e se l’hanno fatto io non me ne sono accorto. La loro è musica. La loro musica. Ed esattamente come accade per i Motörhead, c’è poco da giudicare. Poco da commentare. Ci sono infatti band di valore storico immenso che possono ancora fare album brutti. Possono farlo perché il loro pubblico è una massa immensa di gente pronta a girare loro le spalle. È un loro rischio. È il prezzo del successo. I Sodom non sono una band di multimilionari con tonnellate di dischi di platino e ville a Beverly Hills. I Sodom sono quello che sono sempre stati: brutti, sporchi, cattivi e dannatamente incazzati. Personaggi del genere non fanno errori. Loro dettano le regole, loro sono la legge. Gente del genere non può fare il disco brutto. E se anche capitasse questo disco brutto, a loro certamente non importerebbe un accidente. E questo è il loro vero punto di forza. Io seguirei i Sodom ovunque, qualsiasi sia l’inferno dove si vanno a cacciare. Nella mia personale collezione di dischi, i Sodom hanno un posto dedicato, quasi un mausoleo, un tempio alla loro mania sodomita. E ci sono tutti quei dischi! Anche quelli che la critica ha bocciato come “Get What You Deserve” (titolo geniale, considerata la critica negativa che ha scaturito) non possono lasciare quella mensola dedicata tra il mio materiale discografico. Non rinuncerei a nessuno di quei maledetti dischi, perché verrei meno alla mia fede, al mio voto. Vi ho forse riassunto la storia (la mia versione) dei Sodom? Perfetto: i Sodom SONO la storia. “Epitome Of Torture” è un capitolo di questa storia. Se amate i Sodom lo dovete comprare. Se li ignorate, allora potete pure ignorare questo testo. Non vi riguarda. Non vi interessa, come a me non interessa lo leggiate. Il quattordicesimo capitolo, giusto per dare qualche penosa informazione, rimane sulla vena thrash ma con sapienza e maestria riesce a riassumere la storia della band. Ci sono pezzi che potrebbero esistere in una teoria “Agent Orange”/”In War And Pieces”, come “My Final Bullet” e la title track. Ci sono episodi che portano a oscuri momenti antichi, come “Shoot Today Kill Tomorrow”. Ci sono cose furiose, veloci, scatenate come “Invocating The Demons” che gode di un groove fantastico. Ci sono pezzi da spezzare la spina dorsale come “Into The Skies Of War”, e non manca la letale ironia tipica della band, che si riversa nella cattivissima “Katjuscha”. E ci sono sorprese ricche di valore aggiunto, ricche di novità, come “Tracing The Victim”. Si tratta di un album fedele al tema storico della band e pertanto parla di guerra: basterebbe quest’ultima frase a comporre una recensione. Un’ottima recensione. Per il resto è semplicemente un’album dei Sodom. E’ semplicemente imperdibile. Stiamo semplicemente parlando di storia, leggenda, e religione contemporaneamente. E loro sono i semplicemente Sodom. Ed io sono semplicemente troppo devoto, e troppo insignificante per dare loro un giudizio. Questa è storia della musica. E la storia va vissuta nel suo pieno.
(Luca Zakk) Voto: s.v.