(Season of Mist) Album dal sapore strano questo sesto lavoro degli islandesi. Un altro passo avanti, o quantomeno un passo verso la loro direzione… una direzione che questa volta vede l’assenza del batterista e fondatore Guðmundur Óli Pálmason, apparentemente cacciato dalla band un paio di anni fa nel bel mezzo di un tour, con conseguenti procedimenti legali e le solite battaglie monetarie che con la musica hanno ben poco a che fare, ma sono alla base delle bands… le quali la musica bene o male la compongono, la partoriscono. C’è gente che dichiara che questi non sono i Sólstafir: affermazione artisticamente corretta, ma sicuramente non valida in termini societari, visto e considerato che qualche legge permette all’altro fondatore, il vocalist Tryggvason, di tenere il nome e mandare avanti… l’azienda. Ma la scena della musica non è nuova a queste patetiche scenate… Gorgoroth/God Seed per esempio? Guns’n’Roses e Axl? Francamente a me non fotte un cazzo di nulla, in quanto sono qui, cuffie a palla, drink in mano. Ed è la musica che domina. Mi domina. Il nuovo Sólstafir ha i suoi dettagli post-pesanti, più risulta pacato, meno ritmico, più atmosferico. Il che è sinonimo sia di originale che di commerciale, ma anche di “delusione, noia.. sonorità melensi”. La verità? Difficile a dirsi. Certe verità sono soggettive. Sicuramente manca l’ispirazione spirituale che si sentiva su capolavori come “Ótta” o “Svartir Sandar”… non c’è traccia di un sublime e campanilista percorso su un concept come fu con “Ótta” (recensione qui). Manca la sostanza, forse… ma rimangono otto tracce efficaci, travolgenti, amalgamate… senza l’hit (che i due precedenti album hanno puntualmente evidenziato) ma con una dimensione d’insieme molto molto alta e concreta. Il singolo “Silfur-Refur” è ricco di energia. Pulsante, melodico, con un singing intenso e passionale. Se esistono dei nuovi Sólstafir stilistici, allora questo brano appartiene al pre-scissione. Decisamente ambient-rock oriented “Ísafold”: brano semplice, per certi versi banale, per altri intenso. L’ambient prende il controllo con “Hula”, ed anche con “Nárós” fino all’esplosione digital-rabbiosa che pone diversi accenti sul brano stesso. Coinvolgente e remotamente dark wave “Hvít Sæng”, oscura, decadente ed introspettiva “Dýrafjörður”. “Ambátt” risulta strana, tra il soft pop ed il liturgico, in realtà nasconde molti dettagli oscuri tipici della creatività impulsiva ed imprevista degli Sólstafir. Altre ipotesi mistiche emergono con la conclusiva “Bláfjall”, un brano ricco di groove e con un crescendo, molto eccitante e pieno di potenza. “Berdreyminn” sembra moderato, ma in realtà spacca; richiede qualche ascolto per essere assimilato, confermando un po’ quell’essenza di equilibrio commerciale/non commerciale tipico della band. “Berdreyminn” non è un disco che compri perché dentro c’è l’hit che ha fatto il giro del mondo. Ma è un disco sempre piacevole, sempre musicale… senza l’intenso l’impegno mentale dei due precedenti e senza gli eccessi dei due precedenti. “Berdreyminn” è potenzialmente più commerciale ma allo stesso tempo non facilmente vendibile. In un certo senso c’è una maturazione artistica, ma anche un passo indietro presi per mano dal dio del business che vuole album creati per il marketing nei tempi imposti dal marketing. È tuttavia innegabile che ogni minuto di questa (quasi) ora di musica è intenso, ricco di dettagli, poetico ed emozionale. Più caldo ma anche più freddo. E per voi li fuori? Ci saranno due schieramenti. Pro e contro. Io sto sugli spalti. Io mi godo il vostro spettacolo ed assaporo musica d’alto livello… poi cosa facciano coloro che mangiano vendendo questi brani, francamente, non è affare mio. Io ho ascoltato e scritto per piacere personale, ovvero il principale sentimento che dovrebbe stuzzicare la musica… oltre che la passione. Ed è proprio quella la fonte del problema. E la ragione “per la quale”.
(Luca Zakk) Voto: 8/10