(Nuclear Blast) A distanza di quattro anni dal precedente “We Rule The Night”, tornano sulle scene gli Svedesi Sonic Syndicate con questo album omonimo. La band ha accentuato le incursioni elettroniche e melodiche, tentando ritornelli ruffiani di facile presa che non sempre raggiungono il risultato sperato, accantonando parzialmente le influenze degli ultimi In Flames, sempre presenti ma amalgamate con queste sonorità più catchy. La partenza è abbastanza buona con “Day Of The Dead”, dal riff veloce e incalzante, inframezzato da un ritornello melodico con clean vocals che si contrappongono al growl, in perfetto stile metalcore. Pur non facendo gridare al miracolo, il brano ha un buon tiro e si fa ascoltare più che volentieri. Ottimo inizio, ma fuorviante: dalla successiva “Black Hole Halo”, le incursioni elettroniche si fanno più pesanti, spostando le sonorità verso lidi commerciali cari ai Linkin Park, nonostante permanga una certa pesantezza di fondo e il ritornello anthemico si inserisca bene nella struttura del pezzo, rendendolo accattivante. “Long Road Home” parte con un bel riff aggressivo e linee vocali toste e incazzate, sulla scia degli In Flames di “Clayman”, prima dello scellerato ritornello, una cantilena che si addice maggiormente ai Blink 182 che a una band metalcore, nonostante sia esso un genere dove i refrain melodici rivestono grande importanza. “My Revenge” è cadenzata e le metriche vicine al rap delle strofe alternate ai ritornelli con voce pulita, rendono questo pezzo trascurabile. “Before You Finally Break” vede ospite Bjorn “Speed” Strid dei Soilwork, per quello che si candida ad essere il peggior brano del lotto, nonché uno dei pezzi più insulsi che mi sia capitato di sentire, completamente sconclusionato, con rallentamenti e accelerazioni buttate lì a casaccio e il refrain, cantato dal singer dei Soilwork risulta fastidioso. “Catching Fire” sembra uscita dalla penna dei Linkin Park meno ispirati e in tenti a comporre una canzone hard rock. “Unbreakable” è una song ultra melodica abbastanza riuscita, ma totalmente fuori contesto col mood dell’album. Presa singolarmente si lascia, comunque ascoltare. “It Takes Me” ha dalla sua alcuni buoni riffs veloci e aggressivi. Non un capolavoro, ma si tratta comunque di una discreta song metalcore. La partenza furiosa di “See What I See” mi ha fatto sperare in un rabbioso colpo di coda, ma anche in questo caso il chorus si rivela oltremodo irritante, con quella cantilena snervante. “So Addicted” è un mid tempo incalzante dal forte sapore pop che, se non fosse per qualche timido accenno di voce growl, avrebbe un buon potenziale radiofonico. La conclusiva “The Flame That Changed The World” alza di poco il livello qualitativo. Il brano è caratterizzato da un riff stoppato e buoni inserti elettronici. Il chorus, questa volta non è eccessivamente melenso, nonostante la connotazione melodica sia predominante. L’album è splendidamente prodotto e patinato, e le doti tecniche dei musicisti sono elevate. Devo anche dire che sanno comporre sia partiture efferate che buone aperture melodiche. In questo caso, però si sono fatti prendere la mano nella ricerca di soluzioni forzatamente catchy, risultando fastidiose per i gusti dei metallari, come troppo pesanti per chi ama la melodia. Un considerevole buco nell’acqua.
(Matteo Piotto) Voto: 4,5/10