(Transubstans Records) La musica degli Space Mirrors va ben oltre la concezione canonica del termine; ciò che è contenuto in questo disco è un vero e proprio viaggio nella sfera onirica delle sette note. Fin dall’apertura del lavoro sono le atmosfere l’elemento principe del sound, i registri sonori si rifanno allo space rock degli Hawkwind (infatti sono presenti come ospiti Nick Turner, Alan Davey, Keith Kniveton, tutti ex Hawkwind, ma anche Metataron dei The Meads of Asphodel e altri) nel più fedele gusto vintage anche se nelle parti vocali si sente molto l’influenza di band più goth come i Tiamat più moderni ed in parte i 69 Eyes: la voce infatti è molto calda e grave, ricca di pathos e profondità nell’espressione delle liriche che immancabilmente trattano di cosmo e costellazioni. Gli Space Mirrors si presentano quindi come una band assolutamente ideale per gli amanti delle sonorità psichedeliche, la produzione del lavoro infatti lascia molto campo alle tastiere ed ai synth per creare le giuste atmosfere e l’ambientazione ideale per un trip che inizia sdraiati sul divano semplicemente schiacciando il play. Sul piano della produzione urge però un appunto: il sound complessivo del disco risulta un po’ troppo ovattato e chiuso, la chitarra esegue degli ottimi assoli ma essi non hanno la giusta produzione e restano un po’ troppo bassi di volume, mentre la batteria è troppo focalizzata sui piatti ed il rullante mentre la cassa è quasi insistente, su “Frozen City of Cube and Cones” si ha la prova lampante di questa carenza, un’equalizzazione più studiata avrebbe conferito infatti una resa migliore ad un songwriting fresco, dinamico e ricco di spunti compositivi. Speriamo in una futura migliore produzione per gli Space Mirrors che come band hanno tanto da dire e molti viaggi da farci fare; perchè come diceva Oscar Wilde i migliori viaggi si fanno da fermi.
(Michele Alluigi) voto: 7/10