(Krach Records) La pandemia fa brutti scherzi. Manda in palla la gente. Paranoia. Psicosi. Paure assurde. Gente che prima s’abbracciava ora si tiene d’occhio reciprocamente per denunciare uscite non giustificate. Cecchini sociali maledetti. Cazzo, si rivela la vera essenza dell’umanità, quella meschina, invidiosa, rabbiosa. Schizoide. Ma questo riguarderebbe i vivi. I morenti. Quelli recentemente schiattati. E quelli che erano già morti da ben prima dell’epidemia mondiale? Bella domanda. La morte oltre a renderti bello, figo, strano, attraente e maledettamente sexy, attiva certe percezioni sensoriali le quali, solitamente, giustificano l’atteggiamento strano di questa band ma, in questo caso, rivelano una preveggenza unica; l’album, ovviamente, è stato composto tempo addietro (Mesi? Anni? Secoli? Chi è immortale in quanto già defunto ha tutto il tempo che vuole) ma esce proprio ora, nei primi mesi di questo nuovo decennio partito male e che sta continuando peggio. Diavolo, e se moriamo tutti? Chi diavolo può offrire carne fresca agli zombi che pestano duro in questa band irresistibile? Non per nulla, quindi, i Superhorror sono incazzati. Imbestialiti. Furibondi! Nel corso delle varie epoche che hanno caratterizzato la storia dannata dell’act (prima chiamati Morphina, poi Superhorrorfuck…) loro hanno sempre interpretato il momento, il bisogno, la necessità del pubblico. Con il primo disco interpretavano, urlando, una ribellione giovanile post resurrezione. Poi la maturazione lasciva e perversa di “Livingdeadstars” e quella più heavy di “Death Becomes Us” (qui), un tripudio di mutandine strappate a sexy ladies morenti. Ma anche il lusso e lo sfarzo stancano, quindi poi venne una parentesi più rock’n’roll, più melodica, più in linea con dei sabati sera d’altri tempi (“Hit Mania Death” del 2017, qui). Sempre puntuali con il momento. Soddisfacendo i bisogni sonici di fans (al femminile, a prescindere) sempre più esigenti. Ma ora c’è l’epidemia. Ora siamo tutti nervosi ed incazzati. E dopo la Cina… sono indubbiamente gli italiani quelli che dimostrano di crepare… meglio! “Italians Die Better” è tanto ironica quando bastarda. E furiosa. Rumorosa… perché quando si schiatta bisogna fare ancora più chiasso! Pesante, tuonante, maliziosa e stuzzicante “Average Horror Band”, poderosa e d’assalto “Sultans Of Sin”, rock’n’roll sotto steroidi con “Happy Dead”. “Goat” è punk, è doom, è rock, è metal. Insomma una zoccola che fa un po’ quel che chiedete. Sdolcinata e ‘romantica’ “Die As You Are”, rocambolesca “Six Feet Above Ground”, ricca di tecnica ed hooks la graffiante “L2D”. La band non è nuova ad ironie sonore eseguite con energia e perversa intelligenza: “Haitian Rhapsody” altro non fa che confermare questa loro indole. “Graveyard Dolce Vita” scuote gli edifici, giù lungo quella strip apocalittica. La conclusiva “Pensiero Violento” (feat. Irene Viboras front woman dei Viboras) è puro nervosismo, un punk suonato divinamente e cantato con ignoranza e strafottenza, un brano da amare, un brano da odiare, un brano che conferma il libertinaggio artistico dei Superhorror. Attualmente lontani dai palchi dei mortali, incatenati dentro tombe maleodoranti, costretti a marcire in isolamento, i Superhorror comprimono una quantità illimitata di collera, lasciandola poi esplodere in un album che manda a fare in culo tutto e tutti. La band di quella bionda isterica chiamata Edward J. Freak, l’oggetto del desiderio di tutte e tutti, si è incazzata per davvero. S’è ribellata di nuovo. Il ‘Fuck’ non è più nel nome ma, diamine, echeggia prepotente in ogni dannato riff!
(Luca Zakk) Voto: 10/10