(Dark Essence Records) Il doom female fronted è un mondo particolare. Altre realtà come i Witch Mountain, i Green Meteor, i Seremonia, ma anche gli High Fighter o i Sabbath Assembly riescono a dare risalto a questa essenza sempre a cavallo tra la delicatezza femminile e la misteriosa dimensione spirituale, con una divagazione in ambienti pregni di stregoneria. I norvegesi Superlynx iniettano qualcosa di personale nel loro sound, il quale rimane in territori doom/stoner psichedelici ma sembra quasi venga creata una strana pozione che integra componenti remotamente collegabili all’immaginario di antichi rituali occulti provenienti dall’India o dall’attuale medio oriente, il tutto con dettagli folk nordici ed una impostazione sempre deliziosamente eterea… un sound percepibile più che ascoltabile, una diffusa sensazione mentale più che della musica diretta, anche se nelle impostazioni più chiaramente stoner la band sa farsi valere, sa impattare, sa creare quei riff micidiali sferzati da divagazioni melodiche intense con un drumming molto più vicino al prog settantiano che al doom moderno. “Hex”, in apertura, rende subito l’idea di quella trasversalità culturale, idea rafforzata dalla seguente “Breath”. Strana ed inquietante “Becoming The Sea”, anche grazie alla lunga ed oscura introduzione incentrata sul solo pianoforte. Altra impenetrabile oscurità con la title track, un brano dove un semplice riff viene circondato da ottimi arpeggi, un sublime drumming, il tutto sferzato dal vento glaciale rappresentato dalla voce di Pia Isaksen. Spiritualità e remoto ottimismo con “Indian Summer”, brano con delle tastiere in controtendenza, decisamente eccitanti. Soave, ipnotica, delicata e velatamente crudele “These Children That Come at Us with Knives”, seguita dagli accenti più pesanti sparsi su ritmi molto più allegri di “Scarecrow”, brano nel quale la voce di Pia cerca di appiattire magicamente un brano altrimenti ricco di pulsazioni. Ossessiva “Cold Black Sea”. Suggestiva e piena di pace “The Groove“. Ancor più eterea, inquietante e lontana da realtà fisiche la conclusiva “The Thickest Night”. Album intenso, ricco di musicalità, pregno di magia, intelligentemente farcito di tecnica esecutiva e compositiva. Un rituale oscuro ma allo stesso tempo luminoso, quasi accecante. Dannazione eterna con momenti di concreto ottimismo, un ottimismo che è fonte di forza, una forza che si ribella, che combatte e che talvolta vince, contrastando destini e condanne, annullando la divisione fisica tra luce e oscurità, tra giorno e notte, tra reale ed immaginario, tra fisico e metaforico. Tra vita e morte.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10