(Ripple Music) In maniera soft ma con buone e variegate idee nella testa, i Temple Of Discord esordiscono in modo ammirevole. “In The Ashes” è un ascolto che porta su più piani, lasciando sbocciare canzoni interessanti e con intrecci tra rock e hard & heavy, dark e folk. Un sottile senso di malinconia e tanta introspezione nei Temple Of Discord, sembra andare verso i The Cult, pervadendo questo lavoro in maniera totalizzante. Temple Of Discord nascono con le motivazioni artistiche di Mattias Marklund dei Wytch, il quale crea un suo taglio personale con dei pezzi che reclamano probabilmente qualcosa di più. Arriva poi il batterista Benny Hägglund (Vintersorg, Fission), successivamente il chitarrista e detonatore del progetto nella maniera di una band Niklas Viklund e poi il bassista Jon Ericson Warnoff. Se Viklund ha dunque spinto Marklund a trasformare i suoi lavori solisti come materiale per una vera e propria band, il tutto si è poi concretizzato quando Peter Melender è arrivato a rimpiazzare l’impossibilitato a continuare Benny Hägglund. Una vicissitudine che parte dal 2020 e termina con questo mirabile disco. Lavoro rifinito con creatività, come il coro femminile di “Black Out The Sun” che potenzia l’indovinato ritornello, l’incantevole e ipnotico crescendo della superlativa e apocalittica “Rails”, oppure il pop-grunge di “Someone Else” o il punk della successiva “All Their Lies”. Sono parte di momenti invitanti che incidono sulla resa di queste canzoni che si lasciano ascoltare, attraverso un sali-scendi emotivo che viene trasmesso all’ascoltatore. C’è la quiete, “Razor Me” e frammenti sparsi come in “Closer” dove poi il pathos esplode, lineamenti psichedelici, ombre che svaniscono e poi si addensano. Con “In The Ashes” c’è anche un lavoro di chitarre che tra luci soffuse e riff tagliati in uno sviluppo crescente che armonizzano passaggi e sottolineano musicalmente questi discorsi testuali profondi, analitici. Umani, insomma!
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10