(Season Of Mist) Il padre putativo dei The Great Old Ones è Howard P. Lovecraft e chi ha masticato le opere del Solitario di Providence lo avrà bene inteso. Il nome della band di Bordeaux, ‘I Grandi Antichi’, deriva da alcune divinità dei romanzi del celebre scrittore statunitense e alcune di esse dimorano nel Monte Kadath, come recita appunto il romanzo “La Ricerca Onirica dello Sconosciuto Kadath”. Al di là della devozione testuale e nomenclatura della band, i The Great Old Ones si stanno distinguendo per il proprio black metal rielaborato in una chiave contemporanea, attraverso fasi lente e veloci e un clima sonoro che sostanzialmente va alla deriva verso il post black metal. Con il fatto di abbracciare storie lovecraftiane, dunque, miti, misteri, epoche e divinità perdute o forse solo dormienti e pronte a irrompere nella sfera del mondo umano, le melodie dei pezzi di “Kadath” arrivano a momenti epici importanti, come accade in “Me, the Dreamer” e in generale in ogni canzone. La band offre anche esecuzioni dannatamente black metal e d’atmosfera come “In the Mouth of Madness”, un vero vortice sonoro di black metal dirompente. Pur tuttavia si vuole evitare un track-by-track, anche perché, si ripete, ogni composizione ha un suo implicito valore. Album melodicamente mutevole “Kadath”, forse non facile da assorbire al primo ascolto, anche per via di una discreta complessità strutturale e per un sottile elemento prog. “Kadath” è un album di oltre settanta minuti e i pezzi sono impostati su minutaggi importanti, di conseguenza si ritrovano strutture che si trasformano, progressioni che si susseguono e sopravanzano tra ampie melodie e fasi maestose. Proprio questa vastità è sovente dispersiva e forse “Kadath” poteva essere un mirabolante esempio di post-atmospehric black metal e fare scuola, se fosse stato cucito con una decisa sobrietà.

(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10