(Version Studio Records) Esistono delle band che sono capaci di raccontare una malinconia infinita, ma non in modo sfacciato e ripetitivo, come se nelle proprie inquietudine riuscissero a metterci un’estetica costruita. Avete presente i mai dimenticati The God Machine? Loro avevano eleganza, ma avranno scritto un paio di canzoni ‘allegre’. Alcune band hanno dato ulteriore estro alla malinconia, come accadde in una fase particolare degli Anathema, ma anche i Neurosis o i Porcupine Tree. Questo abbandono a toni foschi, grigi, immalinconiti, accade anche per questo terzetto svedese che tinge la propria musica di sonorità spesso robuste, ma dagli accordi e arpeggi vacui e un carattere ombroso. Le partiture ricordano un po’ alcune delle band citate in apertura, anche le voci ci si avvicinano e dunque un universo etereo e fatto di situazioni dilatate e comunque robuste, per via delle roboanti distorsioni a volte dai tratti noisecore che si sviluppano in questo album omonimo. Con l’attenzione di Magnus Lindberg (Cult Of Luna, altra band rintracciabile nel sound dei TIP, e i Khoma) alla masterizzazione e il missaggio di Michael Nordström (Switch Opens, Jesaiah e altri) “The ISolation Process” rinverdisce i fasti di un certo metal che è si melancholy, ma detiene venature groove, melodic, noise, semi-psichedeliche. Che album è questo “The Isolation Process”? Che valore ha? Pur essendo troppo aderenti ad uno stile che ha fatto già scuola, i TIP producono un flusso sonoro tutto sommato scorrevole, anche se 45’ di musica sembrano troppi, se li rapportassimo a quante volte riescono a variare o dare impulsi stimolanti al proprio songwriting. Se da una parte la band eccede in alcune strutture che vanno a ripetersi (vedi la soluzione intro- voce con arpeggio-ritornello rabbioso), lo spessore e il groove delle chitarre e basso alzano un muro solido, abbellito da qualche digressione psichedelica, come nelle due strumentali “Inhale” e “Exhale”. Proprio questui due pezzi, in fin dei conti molto semplici, sono tra i momenti significativi dell’album, ma sono anche i più brevi. Dunque un po’ troppe cose in questi nove pezzi abbastanza regolari, scansionati da un drumming fin troppo modale e un’idea compositiva che bene o male non si concede poi molto. Non brutto questo album, ha le sue melodie accattivanti che pervadono l’anima (vedi “The Dead End”), rispetta un certo filone musicale al quale se d’abitudine ci si abbandona per dei viaggi interiori è confortevole, ma nel complesso i The Isolation Process potrebbero osare ed essere distintivi. Il solo fatto di insistere sulle distorsioni con acerrima ostinazione dimostra quanto povera sia ancora l’abilità compositiva di questa band che, almeno sembra, ha invece voglia di sperimentare.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10