(Human Detonator Records) Secondo capitolo di questa patetica trilogia olandese concepita sotto il livello del mare tra biciclette e zoccoli di legno, tra droga e prostituzione legalizzate. Perché fare una trilogia poi? Trilogia di cosa? Sarà solo una mossa commerciale? Dopotutto su questo “V2” parlano delle cose successe dopo quelle raccontate con “V1” (recensione qui), quindi sempre la solita favola legata a guerre, violenza, nazismo, fascismo, bolscevismo e qualsivoglia altra forma umana che ha dato (e continua a dare) origine ad odio, massacri, predominio, dittature, schiavitù e spargimenti di sangue. Ma, stronzate a parte, come suona questo nuovo lavoro? Togliendo i due brani (dell’album precedente) suonati live al Graspop Metal Meeting 2017, opportunamente infilati per compensare il poco nuovo materiale disponibile ed arrivare ai canonici tre quarti d’ora, le restanti sei canzoni sono… sono… cazzo sono una figata! Io ho sempre venerato due loro album in particolare: il favoloso “III – Trivmvirate” (adoro anche la sua copertina!) ed il possente “Tetragrammaton” (recensione qui). Premesso questo, le evoluzioni successive hanno sempre incontrato i miei gusti, senza però mai esaltarmi a quei livelli devastanti. Dopotutto l’EP “Bloodcvlts” (recensione qui) era un riciclo di roba vecchia avanzata in cantina, e “Versus 1” offriva idee fresche, una potenza immensa… ma c’è poco da fare… tra i miei ascolti abituali ed extra professionali, alla voce The Monolith Deathcult continuano a rimanere i due sopracitati capolavori. “V2” è chiaramente parente di “V1”, ma c’è una componente teatrale diversa. Credo sia una semplice sensazione, non un parere strettamente tecnico, ma le cose che Altena si è inventato sono di immenso valore. Lo stesso Altena, tra l’altro, si scatena maggiormente come solista (voci nel giro dicono che in realtà i lead li suona Dekker, ma nessuno può sapere ufficialmente la verità) alzando quel livello di combinazione apparentemente impossibile tra death metal digitale, teatrale e musicale, regalando vasti spazi ad una chitarra solista veramente ben suonata. Stupende le narrazioni con la bellissima voce di Sir David Attenborough. La festa apre con una introduzione la quale cela una geniale ispirazione di derivazione Helloween… (chi c’era nel 1985 capirà). “Dawn of the Planet of the Ashes” è old school, è pesante, e l’equilibrio tra violenza ed elettronica raggiunge livelli da orgasmo, con il famoso affiancamento delle due voci della band qui espresso con una efficacia devastante. Atmosfere oscure su “Come Forth Lazarus”, un brano che si rivela essere poderoso, una autentica canzone da headbanging letale, con riff poderosi, esplosivi, irresistibili. Nervosa e schizoide “Fist of Stalin”, un brano dalle linee vocali ricercate, molto drammatico, apocalittico, lacerante, costruito su un drumming geniale, fantasioso, di provenienza hard rock piuttosto che metal estremo, dando vita ad una combinazione meravigliosa. Immenso lo strumentale “The Snowflake Anthem”, una specie di colonna sonora dell’ipotetico film che potrebbe nascere dal concetto di base dell’album. Complessa, veloce e farcita di death metal old-school la violenta “Rise of the Dhul-Fakar”. Album corto, ma possente. La famosa teatralità e l’irriverente provocazione della band tornano all’ennesima potenza. Un disco che emozionalmente surclassa il precedente e che si avvicina a ciò che ha reso noto questo bizzarro -ma geniale- progetto olandese.
Ed io ve lo posso giurare: rifiutando la mia offerta, nessuno dei The Monolith Deathcult mi ha pagato un solo centesimo per scrivere questa bellissima recensione!
(Luca Zakk) Voto: 9/10