(Human Detonator Records) Finalmente connettono quei dannati punti gli olandesi The Monolith (o ‘MonoLOATH’) Deathcult! Quei punti con i quali ci stanno stressando da una vita, ovvero da prima di questa pandemia, quando pubblicarono tutti fieri il singolo della title track. A quasi due anni dal suddetto singolo, avevo ormai dato per scontato che il terzo capitolo della trilogia “V” non sarebbe mai arrivato, lasciando deliziosamente incompleto quel disegno iniziato con “V1” nel 2017 (recensione qui) e continuato con “V2” l’anno successivo (recensione qui). Infatti nel 2019 non è arrivato il terzo capitolo, nessuna traccia nel 2020, da parte del trio (più un batterista, Frank Schilperoort, session stabile che tuttavia si rifiuta o si vergogna di essere menzionato nella line up ufficiale)! Eppure nel 2020 non c’erano i concerti (non ci sono ancora), tutti erano confinati a casa (dove loro registrano come i ragazzini)… quindi mi sembrava strano questo essere restii (Loath…) alla chiusura del cerchio, al compimento della profetica trilogia della trinità, all’unione di quei maledetti punti. Poca voglia di lavorare? Una quantomai inopportuna suspense? Ma eccoli, sono tornati, sorprendentemente ci sono riusciti, senza nuovi incasinamenti della line up, senza essersi ammazzati tra loro, arrivando finalmente a quel disegno completo. Ovviamente “V3” è molto teatrale, anche più degli altri due “V” e ci sono voci di corridoio secondo le quali le parti narrate, al posto Sir David Attenborough (un divulgatore scientifico e naturalista britannico e voce narrante di “V2”) o di Peter Cullen (l’attore che presta la voce a Optimus Prime dei Transformers, voce narrante su “Tetragrammaton”), siano state affidate ad un certo Alex Jones, conduttore radiofonico statunitense oltre a figura controversa in quanto noto sostenitore di varie teorie complottistiche ed esponente dell’estrema destra americana. Altre voci, probabilmente sempre messe in giro dalla band, però, dicono che si tratti di un imitatore… cosa che sembra applicarsi anche per ogni narratore degli album precedenti, a conferma della totale mancanza di credibilità di questi tre (+1) devastati con i zoccoli di legno. Dopo l’inquietante quanto poco rispettabile intro “Infowars”, nel quale la band si ‘autoproclama’, è il potente singolo quasi title track “Connect the Goddamn Dots” a far deflagrare il disco… ma sul brano c’è poco da dire visto che è in giro da oltre un anno e mezzo. L’altro singolo, “Gone Sour, Doomed”, mostra una enfasi su quel ‘Gone Sour’ (‘andato a male’, ndt), ma offre una dualità sonora impressionante: dalla brutalità di stampo death vecchia scuola ad una teatralità avant-garde, con imponenti aperture scenografiche, quasi un symphonic death/black metal ad alto numero di ottani. L’altra quasi title track, “Vernedering”, è più un territorio noto ai (pochi) fans della band: veloce, estremamente pulsante, linee vocali pestilenziali sferzate da urla disperate ed un groove di marcato stampo guerrafondaio, verso un finale deliziosamente cinematografico. Diciamocelo: i testi della band sono sempre stati orientati alle oscenità umane di tendenza bellica o dittatoriale, tanto da evidenziare una certa cultura, una certa visione chiara ed un idealismo tanto concreto quanto meritevole; pertanto diventa ironico, per non dire demenziale, il fatto che brani come la seducente e riuscitissima “Blood Libels” siano aperti da una narrazione imponente che non evidenzia crimini o orrori della storia, piuttosto spiega per quale ragione a nessuno piace la band e nessuno ascolta la loro musica, farfugliando qualcosa che ha a che fare con le armi chimiche ed un non ben chiaro piano dei The Monolith Deathcult di sterminare i propri detrattori (con le armi chimiche!). Se da un lato la cosa possa apparire immensamente idiota, dall’altra emerge una genialità narrativa che vede l’artista come colpevole dei crimini che espone e condanna. Poderoso ed irresistibile il mid tempo che domina “The White Silence”, un pezzo tetro, incisivo e drammaticamente apocalittico, mentre “They Drew First Blood” è furiosa ed in qualche modo psichedelica, prima della lunghissima conclusiva “L’Ouverture de Morose”, un brano lento, oscuro, doomy, sempre teatrale, con una ghost track finale, l’ennesima narrazione demenziale che altro non fa che prendere in giro il terzetto stesso… come di consuetudine! The Monolith Deathcult. Vernedering. Umiliazione. Tre sinonimi. Resta da capire se sia la band un’umiliazione per il death metal o se, vista la mostruosa creatività, sia l’intero death metal a risultare umiliato davanti a cotanta forza tellurica.
(Luca Zakk) Voto: VVV (aka XV, aka 15…????)/10