(Season of Mist) Tamás Kátai, la mente dietro i mitici Thy Catafalque ama, dopotutto, provocare. Elettronica, ambient, black metal, death metal, avant garde, synth, jazz… non ci sono confini per questa entità superiore devota alla suprema arte della scultura del suono. Dopo i favolosi eccessi stilistici di “Vadak” (recensione qui), uscito esattamente due anni fa, ecco il misticismo estremo e devastante di questo superbo “Alföld”: da subito death metal, quello oscuro, quello con linee vocali laceranti… ma questo rimane ben definito solo durante il primo minuto della opener “A csend hegyei”, prima che si inizino ad intravedere le ormai prevedibili imprevedibilità di questa mente contorta: certo, il brano è death metal… ma costellato di dettagli che lo portano verso ogni direzione, verso tenebre impenetrabili e minacciose… mettendo tra le altre cose in vista sin da subito la produzione monumentale del disco. Seducente “Testen túl”, groove incalzante, vocals pregne di perversione, drumming rocambolesco, e quel sound che continua ad aggiungere melodie, riff, dettagli che abbracciano sempre più stili classici, come il vecchio death metal o… gli stessi Iron Maiden! Riff spacca ossa vecchia scuola con una farcitura suggestiva su “A földdel egyenlő”, verso direzioni avant-garde jazzistiche irresistibili che sfiorano anche il vasto territorio di realtà quali i Therion. Apocalittica e incredibilmente imprevedibile la title track, la quale passa dal dramma tetro dei primi minuti, verso una pace idilliaca instabile, verso l’heavy metal, dando spazio alla stupenda voce di Martina Veronika Horváth, (ormai presenza fissa da “Geometria” in poi) e lasciando poi liberi moltissimi dettagli folk scolpiti da virtuosismi di chitarra classica favolosi. “Folyondár” offre un incedere epico arricchito da flauti ricchi mistici e violini vagabondi. Immensa “Csillagot görgető” con i suoi molteplici aspetti stilistici che giocano attorno ad una indovinatissima melodia vocale. Heavy metal grandioso e ricco di virtuosismi con “A felkelő hold országa”, prima della conclusiva “Néma vermek” (anticipata dalla parentesi cosmica dell’intermezzo “Szíriusz”), un brano ricco di heavy metal pungente, spaziale, oscuro. Un artista eclettico a livelli filosofici, fino alla ridefinizione di qualsivoglia culto dell’eclettismo. Geniale in maniera destabilizzante. Psicologicamente violento e demoniaco. E questo nell’inquietante assurdità di una immagine lontanissima da qualsivoglia abuso di pelli, make-up, catene, borchie e simbologia mistica oscura. “Alföld” è arte ai massimi livelli, concepita, creata e coordinata da un Tamás il quale adora farsi affiancare da un nutrito numero di validi artisti, tra vocalists (cinque oltre a lui), chitarristi, bassisti e musicisti impegnato con violini, fiati di vario tipo. Undicesimo disco. Un altro capolavoro. Un’altra dimostrazione di superiorità stilistica.

(Luca Zakk) Voto: 10/10