(Season of Mist) Ad un anno e mezzo dall’ultimo “Naiv” (recensione qui), l’instancabile ed eclettico Tamás Kátai torna con un nuovo album, il decimo, per i suoi imprevedibili ed eccentrici Thy Catafalque! Un album imponente, molto ricco di metal, nonostante le tipiche sublimi divagazioni che caratterizzano lo stile Tamás, capace di inoltrarsi attraverso ogni tipo di genere musicale. “Vadak“ è imponente, un album ricchissimo di ospiti impegnati in una gamma incredibile di strumenti e voci; infatti, oltre allo stesso Tamás impegnato con chitarre, bassi, synth, voce e, ovviamente, composizioni, troviamo vari vocalist quali Martina Veronika Horváth (ex Niburta), Gábor Dudás (Reason), Gábor Veres (Watch My Dying), Julia Pfiffner e András Vörös (Ørdøg, Superbutt), oltre ad un range di strumenti addizionali impressionante: la chitarra solista di Breno Machado, i fiati (sassofono, tromba, trombone) di Artem Koryapin, Dadan Bogdanović, Péter Jelasity e Patricio Böttcher, la chitarra acustica di Carolina Díez, gli archi di Chris Lyons e Artem Litovchenko, la cornamusa di Andrei “Solomonar” Oltean (Lochrian Poem, Prohod, Solomonar) e gli strumenti etnici di Sean Pádraig e Loay Makhoul… una talmente grande quantità di musicisti che ha sicuramente richiesto un lavoro impegnativo sia in fase di composizione che, specialmente, di arrangiamento e registrazione. Metal, black metal, metal elettronico, synth wave: un conflitto di astri lontani converge nella contorta e turbinosa “Szarvas” (‘Cervo’, ndr), poi seguita dalla favolosa “Köszöntsd a hajnalt” (‘Saluta l’alba’, ndr), un brano folk metal dominato da riff tanto pesanti quanto catchy, chitarre capaci di licks eccitanti, una cornamusa superba e la voce immensa di Martina Veronika Horváth. “Gömböc” è uno strumentale incalzante, ritmato, ricco di elettronica, assaltato da riff di metal estremo pungenti, farcito di dettagli, di parentesi, di risvolti tanto sensuali quanto aggressivi. Le voci elettroniche che aleggiano su “Az energiamegmaradás törvénye” (‘Legge di conservazione dell’energia’, ndr) non celano la brutalità estrema del pezzo, un avantgarde death/black metal cinico, tecnico, micidiale, prorompente, un brano che evolve melodicamente, atterrando su un mid tempo sferzante, culminando in un provocante ambient con basso possente ed arpeggi di chitarra intimamente malinconici. L’incredibile “Móló” (‘Molo’, ndr) sembra assurdamente un punto di convergenza tra antichi e moderni Ulver, incrociati con metal estremo di matrice industriale: synth trainanti sotto riff pesanti, il growl selvaggio di Gábor Veres, gli assalti di chitarra e batteria tra thrash e death progressivi, il tutto senza negare spazio ad indovinate evoluzioni della tastiera. Sensuale jazz elettronico con la stupenda ed allusiva “A kupolaváros titka” (‘Il segreto della città della cupola’, ndr), mentre la complessa “Kiscsikó (Irénke dala)” (‘Puledro (canzone di Irénke)’, ndr) ospita una infinita varietà di ritmi, melodie, dal metal vagamente gitano in contro tempo, ad una chitarra acustica inebriante, fino a teorie ritmiche annegate nell’elettronica seguite da un tripudio di fiati. “Piros-sárga” (‘Rosso e giallo’, ndr) cammina lontano, fa sognare, si concede ai fiati e a teorie sonore fuori controllo, con improvvisazioni legate ad etnie sconosciute, il tutto caratterizzato dalla voce potente di András Vörös. La lunghissima title track “Vadak (Az átváltozás rítusai)” (‘Riti di metamorfosi’, ndr) attacca con impeto, rabbia, energia, ma anche tanta tecnica la quale porta a quei cambi tematici grandiosi, dall’assalto metallico verso l’ambient elettronico, con archi che si lasciano trasportare, andando verso un orizzonte brillante nel quale troneggia nuovamente la voce di Martina Veronika Horváth, prima che quelle montagne vengano scavalcate, ricadendo un’altra volta in un metal tagliente ed in qualche modo epico. L’epilogo è rappresentato da “Zúzmara” (‘Brina’, ndr), un brano dolce, dove troviamo ancora Martina, quel violoncello, quegli arpeggi, quel ambient pregno di magia e misticismo. Con testi in lingua madre (l’artista offre le traduzioni) da leggere per comprenderne la trasversale grandiosità legata a tematiche vicine alla mortalità, alla nostra fragilità che ci accomuna con le bestie e quell’istinto freudiano per la vita (eros) e la morte (thanatos), “Vadak” è un album immenso, capace di intraprendere innumerevoli sentieri sonori, tutti legati tra loro con genialità anche innanzi ad una palese impossibile compatibilità stilistica. Un capolavoro di arte pura. Il decimo sigillo, il decimo comandamento, la decima offerta, il decimo anatema.
(Luca Zakk) Voto: 10/10