(Season of Mist) L’introverso ed iperattivo Tamás Kátai giunge al suo settimo album, a solo un anno da “Alföld” (recensione qui), un altro disco contorto, molto aggressivo, ma -ovviamente- anche introspettivo, intenso… un perfetto connubio tra black metal violento e post folk suggestivo (con tutto quello che risiede nel mezzo), un mix alimentato da un mostruoso numero di ospiti -voci in particolare- capaci di interpretare ciascun momento preciso di ogni brano di questi cinquanta minuti abbondanti di arte superiore. Si parlava di ospiti? Quasi tre decine, tra vocalist di ogni genere e impostazione, fino alle varie chitarre, al basso fretless, passando per bouzouki, violini, violoncelli, contrabbassi, corno, clarinetto, tromba, vari altri strumenti oltre all’immancabile sassofono. I brani sono undici… e sono incredibilmente difficili da descrivere; c’è l’aura neo folk prima, doom metal poi nella meravigliosa “Ködkiraly”, c’è il metal alternativo tipico dei Thy Catafalque della opener “Piros Kocsi, Fekete Éj” e c’è il balck/death di “Mindenevö”, un black che diventa avant garde con “Világnak Világa”. Con i Thy Catafalque non sai mai dove vai a finire, ed ecco la dark wave con synth virtuoso di “Nyárfa, Nyírfa”, o dell’altro post folk imprevedibile come evidenzia “Lydiához”. E questa “Vakond”? È prog rock? Post rock? Symphonic rock? Synth wave? Solo Tamás Kátai può dirlo… a noi rimangono le intense emozioni. “Aláhullás” vìola ogni confine, mentre la title track materializza un groove ottantiano diabolicamente irresistibile in chiusura di disco, senza contare la contorta bonus track “Babylon”, un po’ metal un po’ qualsivoglia cosa i Thy Catafalque suonino. Però, forse, i Thy Catafalque non suonano per davvero: Tamás & co. non sono solo dei musicisti, sono forse degli abili scultori capaci di modellare l’aria, le emozioni… l’etere con indomabile maestria ed illimitata creatività.
(Luca Zakk) Voto: 10/10