(Agonia Records) Lo sanno tutti. Il blues sta alle radici. Poi qualcuno ha pigiato sull’acceleratore ed è nato il rock’n’roll. Poi è esplosa una specie di cometa, dalla quale tutto il resto è derivato. Ma ci sono le incongruenze spazio-temporali. Ci sono le cose assurde. Quei casi che la scienza non riesce a spiegare e che etichetta come eccezioni. Un’etichetta, solo una patetica etichetta, un cartellino all’alluce del morto. Ma prima di quello, cosa c’era? Chi era il morto? Possibile non ci sia una scienza nella scienza che spieghi quel caso unico? La risposta è finalmente affermativa. Gli scienziati sono due sudicissimi rockers con i loro esperti collaboratori. Usano strumenti avanzati e tecnologicamente innovativi: chitarra con un frullatore al posto del distorsore. Un basso con un accordatura al limite inferiore della capacità di vibrazione del metallo. Batteria torturata con mazze e picconi. E poi il banjo, una specie di microscopio sofisticato, materia di studio alla cattedra della strada. E diavolo, le sane Marlborette, o forse le pestilenziali Gauloises… perché la voce di HM Outlaw è catrame puro, uno sputo basterebbe per asfaltare una quattro corsie per senso di marcia. Scienziati pazzi: riescono a dimostrare che il blues può passare oltre senza diventare rock’n’roll. Quell’eccezione perversa, quella cellula sbandata, quel fotone impazzito, quella cometa deviata. Piacenza diventa gli stati del sud degli USA. Azzeramento dello spazio. Il blues di parecchi decenni fa, diventa un hard blues, black blues, dark blues… azzerato il gap temporale. Assurdità della fisica che vomita del blues marcio, corrotto, sporco, cattivo. E pesante. Dannazione se è pesante. Non è doom, il doom è ancora troppo soffice. Non è nemmeno stoner, per il semplice fatto che questo è blues. Concetto dannatamente semplice, non vi pare? Campagne degli stati del sud mescolate alle campagne della pianura padana. Leggo una press kit che dice un sacco di cazzate. Non assomigliano Lynyrd Skynyrd, Corrosion of Conformity, Pride and Glory, Down, Black Sabbath, o ZZ Top. Questi sono semplicemente una versione dei Black Label Society, la versione italiana; sono dei blues man mediterranei con una bottiglia di Bourbon in una mano ed una carabina Beretta nell’altra. L’intero album è una tortura terminale per i woofers. I suoni bassi sono micidiali, osceni, assassini. E ci sono due pezzi più sudici, più puttanieri, più volgari degli altri. Uno è la title track. E va bene. E’ la title track. Darà il nome al disco per qualche cavolo di motivo. E poi c’è una cosa unica. Ringrazio Satana per avermi dato in pasto questo disco. C’è una cazzo di canzone che si intitola “Bite The Dust (and Bleed)”. Blues allo stato puro, se per purezza intendiamo tutto ciò che vedi durante una sbronza mentre sei fatto di eroina. Killer riff, e quel ritornello, ed ancora quel riff. Il solo pezzo vale il disco. Non perdetelo. Non fatevelo scappare. Davvero! Non ignorateli. Ho una sensazione che questi sono tipi che… sparano.
(Luca Zakk) Voto: 8/10