(Eisenwald) Il precedente “Devoid of Light” fu un’affermazione, un trionfo, un debutto esaltante (recensione qui). Ma il loro black metal mai troppo estremo, comunque molto oscuro e spesso thrashy, ha sempre -tristemente- portato alla conclusione che gli Uada siano i Mgła americani. Ma sono veramente la fotocopia della band polacca? Ha veramente senso parlare di questo argomento in un contesto mondiale dove ci sono alcune bands seguite ad una miriade di imitatori? Ha senso dare questo giudizio quando alla definizione di ‘genere’ ormai abbiamo sostituito la ‘somiglianza con…’ ? Non credo abbia senso, anche perché -ammesso e non concesso concesso le due bands siano veramente troppo simil- non esiste una terza band. Sono loro due. E definiscono un genere unico, un genere senza nome ma ben identificabile, un genere nel quale non navigano un’altra dozzina di bands. No: Uada e Mgła, supponendone la somiglianza forzata, sono due entità le quali si avvicinano stilisticamente, mantenendo una ben definita identità. Nel versante americano del genere, il nuovo “Cult Of A Dying Sun” è più rabbioso, più tirato, più travolgente ed aggressivo; certo, rimane quell’enfasi oscura e decadente tipica del sottogenere, ma la rabbia inferta da riff e voce si accoppiano perfettamente con il mood, il quale si aggancia in maniera geniale con arpeggi come quelli di “The Wanderer”. A cavallo tra black feroce e black folk-oscuro ed atmosferico, gli Uada iniettano quel feeling americano (percepibile con progetti quali i Panopticon) che ne distingue il sound, il mix, la produzione stessa, dando vita ad una entità musicale distintiva, diretta e meravigliosamente coinvolgente, spesso ipnotica e -a tratti- sensuale, una entità capace di spaziare dalle lande del folk fino alla potenza emozionale dei Marduk. Una lama affilata che diventa lucente grazie alla luce di miriadi di stelle in una fredda notte nordica, in una notte dominata dall’infinito del firmamento.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10