(House of Mythology) Che bestia strana che sono gli Ulver. Fuori da ogni regola, da ogni previsione, anche da ogni logica. Dalle origini black metal, poi attraverso l’elettronica avant-garde, fino al più recente synth-pop: loro se ne infischiano di quale sia il bacino di utenza… tanto è sempre e comunque musica oscura, a qualcuno piacerà, giusto? Poi pure sul piano commerciale loro si rivelano diversi da tutti: l’etichetta è di loro proprietà (il roster comprende solo loro) e pure il modus operandi è molto personale: ogni tanto esce un singolo digitale, magari due brani, senza preavviso, senza tanto clamore (credo siano almeno 5 nel corso del 2024), lasciando parlare la musica nella sua purezza, con passione, con devozione. Ed ora, sempre fedeli alle loro non-regole, ecco che spunta dal nulla un altro album, il tredicesimo, tanto eterogeneo quanto compatto e fluido, tanto incisivo ed impattante quanto seducente e sensuale. “Ghost Entry” riprende da dove erano arrivati gli ultimi album, “A City in the Skies” è più rock, mentre “Forgive Us” è pura malinconia farcita da arrangiamenti semplicemente irresistibili. “Nocturne” -parte prima e seconda- sono pura elettronica emozionale, con una “Locusts” che accresce la dimensione teatrale. Magnetica “Hollywood Babylon”, una traccia capace di penetrare le menti con il suo incedere meravigliosamente dark wave; misteriosa “The Red Light”, suggestiva la conclusiva “Helian”, un brano tetro, dub, tossico, con l’immancabile Jørn H. Sværen impegnato in una recitazione, con stile etereo, di un poema di Georg Trakl (1887–1914). Dietro una copertina del 1911 di Austin Osman Spare (disegnatore e occultista inglese), emerge una poetica oscurità, una sublime profonda percezione, una prolifica intimità mentale. Solitamente un album è un punto di arrivo, una tappa… ma con gli Ulver è solo un passaggio, una cosa che scorre via, una rapida fermata, nemmeno una sosta, con la consapevolezza che domani potrebbe succedere di tutto. Nel frattempo, “Liminal Animals” è favoloso viaggio introspettivo, piangendo Tore Ylvisaker, al quale questa perla di new wave/synth-pop è meritatamente dedicata.

(Luca Zakk) Voto: 9/10