(Nine Records) Che album strano. Ogni ascolto mi genera diversi stati d’animo. Sara l’atmosfera doom, piena di melodia e tristezza. Saranno le ritmiche mai dominanti ma costantemente devastanti. O sarà la performance del vocalist che mi sconvolge. Un vocalist malinconico ma melodico, capace di intrattenere ma di instaurare un ambientazione da rituale, da messa sconsacrata, da cantico dannato. E’ una di quelle voci che, lo ammetto, non capisco, non amo … ma che non posso smettere di ascoltare. E’ puramente ipnotico. Il bello è che queste sette tracce sono veramente molto godibili; le chitarre sono spietate e costruiscono un muro di violenza poderosa, addolcito da melodie geniali e dal vocalist sempre deviato e messianico. Doom epico, doom liturgico, doom melodico. testi pieni di emozione, sentimento; testi intensi, criptici, scritti con musicalità e metrica attraente… cosa che solo gli inglesi -nella loro lingua- sanno fare in maniera coinvolgente. Mi rendo conto che l’album ha una sua atmosfera, una propria aura che si vede, si sente, si palpa, un’aura di energia e spiritualità che si manifestano ad ogni ascolto, in ogni momento che l’ascoltatore dedica a questo lavoro. L’opener “The Doorway” (titolo perfetto per una opener, tra l’altro…) è quasi ottimista, diffonde suoni e melodie quasi idillici, mentre il vocalist si impegna con i suoi lamenti e la chitarra macina con una tonalità lacerante. Travolgente e piena di dinamismo, con qualche ottima divagazione psichedelica, l’ottima “Breaking Away”. Pesante la title track, con un testo veramente bellissimo… mentre “A Thousand Seasons” è un rituale, un presagio, una espressione di entità non carnali. Ancora una volta un testo meraviglioso (frasi come “The falling of the hands of time, The calling of the endless night” mi esaltano), uno sviluppo assurdamente a cavallo tra il marziale e l’etnico, grazie alla combinazione di suoni, voce, melodie. Fantastica la corta ed unplugged “Old Tides”… arpeggi e frasi malinconiche di un padre al figlio… pura magia musicale e poetica. La conclusiva “Unchained” offre “più doom”, ma non manca l’impostazione eternamente malinconica, quasi gotica, imposta dall’ottimo singer impegnato con testi visionari, mitologici, spirituali. E’ un album che forse non capisco. Che forse non riesco a capire. E non è solo per il vocalist. Ogni ascolto offre emozioni diverse, anche contrastanti. A volte percepisco una monotonia, specialmente nelle linee vocali. A volte ne rimango affascinato tanto da non poter smettere, augurandomi una durata più ampia. Ma mi rendo conto che quello che provo sono pure emozioni -le mie emozioni- le quali sono condizionate dal mio stato d’animo e stimolate da “A Fire On The Sea”. E questo è quanto io cerco nella musica.
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10