(Moribund) Nell’ambito dell’insaziabile sete di oscurità della one man band italiana Vardan, prendono forma innumerevoli album che descrivono le tenebre e la fine con parole diverse, sfumature diverse, impostazioni diverse. Nel caso di “Winter Wood”, tutto diventa essenziale. Low-fi. Lento. Terribilmente lento. Crudelmente apatico. Hit-hat travolgente, drumming funereo, arpeggi iniettati di chorus e decadenza eterna, una pesantezza che annichilisce, che ispira solo tristezza, freddo e mancanza di luce, suggerendo la fine, l’oblio. Lo stesso suicidio. “Winter Woods”, divisa in due parti, non offre scampo. È una tortura psicologica, un annullamento dell’anima. “Uroborus Black Circle” è una discesa verso l’inferno, mentre “Cold Night of My Soul” esalta musicalmente il concetto che emerge direttamente dal titolo, con una enfasi particolare su un drumming crudele e linee di basso che gelano il sangue. La fine trova una dimensione grandiosa con la conclusiva “The Cry Of Dying Forest”, dove una chitarra clean e degli arpeggi privi di compassione disintegrano speranze, luce, sogni. Annullano lo stesso domani. Ancora una volta Vardan -nonostante l’appartenenza all’underground- dimostra l’immensa qualità compositiva ed esecutiva delle sue frequentissime pubblicazioni discografiche: un’ispirazione illimitata, incontrollata, inarrestabile e morbosamente coinvolgente.
(Luca Zakk) Voto: 8/10