(Indie Recordings) I Vreid sono la reincarnazione dei Windir; sono semplicemente gli ultimi Windir senza il compianto Valfar. Ma questa è una cosa estremamente nota. I Vreid, anche se nati dalle ceneri di Windir, hanno sempre avuto il loro stile che toccava un po’ il passato, manteneva alto il legame con la terra di origine (Sogndal, che ha dato i natali a tutti i membri) e introduceva qualcosa di più diretto, forse più black, più black and roll,qualcosa si più immediato, spontaneo, a volte collegato con il sound di bands come gli Immortal, a volte inviato verso evoluzioni improvvise e geniali. Ma c’è sempre stata una marcata separazione tra i mitici Windir ed i nuovi Vreid. Almeno fino ad oggi. Ho ascoltato e riascoltato “Sólverv” molte volte e quella sensazione di trovarmi davanti ai Windir, di percepire lo spirito di Valdar, è cresciuta, si è intensificata, si è ingrandita. È quasi diventata un qualcosa di reale. Non riesco a smettere di pensare a questo legame, a questo ritorno alle origini, a questo ciclo della vita -e della morte- che inizia un nuovo percorso. La band non lo dichiara ma nemmeno lo nega, visto e considerato che Hváll stesso afferma che “Sólverv” non è solo un altro album ma è la definizione delle loro vite e della loro eredità culturale, di un qualcosa che portano dentro fino dall’infanzia. Ed è impossibile non sentire in questo album un qualcosa di legato in modo eterno alla terra di origine, la terra che ha dato loro vita, la stessa terra che ha reclamato il guerriero Valfar. Le sette tracce diventano più impegnative e curate (da notare che sono cantate nel loro dialetto locale). Raramente si scende sotto i sei minuti, andando spesso oltre i sette, otto e nove… marcando una differenza rispetto ai precedenti sei lavori (e tornando alla tradizione dei Windir?), eliminando di fatto i pezzi immediati, brevi, pungenti, anche se la violenza e la ferocia rimane dilungandosi su brani più corposi. “Haust” è poderosa e drammatica. La title track è maledettamente Windir, è travolgente, ansiosa, ricca di dettagli (il basso di Hváll fa impazzire!) ed il cambio a due terzi è improvviso (Windir…), letale, pulsante. Spiritualmente vivo. Nervose ma anche suggestive “Geitaskadl” e “Ætti sitt Fjedl”, quest’ultima con un intermezzo ricco di intensa atmosfera, anche questa curata nel dettaglio. Rabbia e trionfo su “Når Byane Brenn”, imponente ed assolutamente epica la lunga e conclusiva “Fridom med daudens klang”. Un ritorno al passato. Alle origini. Ad un qualcosa che sembrava sepolto. Sicuramente qualcuno non apprezzerà questo salto nel passato, aspettandosi un’altra evoluzione tipica dei Vreid. Ma anche questa è un’evoluzione. Ed è una sorpresa che spiazza, destabilizza, sconvolge. O che forse rivela segreti e sofferenze di una superba band che, per nostra fortuna, esiste ancora sfidando la morte, le regole, e tutte le critiche.
(Luca Zakk) Voto: 9/10