(Season of Mist) C’è un’aura strana che avvolge i Vreid e forse l’intero e misterioso Sogndal, lassù nel nord, in Norvegia, nel suo nord ovest. Ogni loro album è diverso dal precedente, c’è sempre un’evoluzione o un cambio di direzione, c’è sempre un marcato cambiamento, eppure ogni album è dannatamente Vreid, fino all’osso, fino alle viscere. “Wild North West” non è un’eccezione, anche se qui c’è qualcosa di diverso, qualcosa che non c’era sul favoloso “Lifehunger” (recensione qui), sulla crudezza di “Sólverv” (recensione qui) o sull’iconico “Welcome Farewell” (recensione qui). La differenza è che l’atmosfera del Sogndal, di quelle montagne, di quelle valli, è qui più presente, più vivo, più spirituale, più emozionale. Prima di tutto “Wild North West” non è solo un album: ogni brano vanta un video, ovvero un anello di una catena che forma un film scandito dagli otto brani del concept che si cela dietro l’opera. Ed ecco quell’atmosfera… si tratta proprio del concept: l’album è una metafora tra il reale ed il surreale, una storia sulla vita e della sua imprevedibile nemesi, un concept che è fiction ma nemmeno poi tanto, un racconto tanto inventato quanto autobiografico, perché ciò che inventiamo, dopotutto, trova una radice nella realtà delle nostre esistenze terrene. Apre inquietante la favolosa title track, con il suo black, il suo black’n’roll, la sua trascinante energia, i suoi riff pungenti, le sue linee di basso calde e carnali, le sue vocals taglienti. Tremolo che ipnotizza sulla radice viking-folk di “Wolves at Sea”, superlativamente melodica ed introspettiva “The Morning Red”. Epica e rocambolesca “Shadows of Aurora”, violenta e crudele “Spikes of God”, con le sue evoluzioni surreali ed atmosferiche. “Dazed and Reduced” offre clean vocals che abbracciando una intensa divagazione dark rock ottantiana, mentre il capolavoro “Into the Mountains” è una rivelazione, una inaspettata performance di Valfar ad oltre quindi anni dalla sua morte, in quanto l’idea di questo brano risale al 2002 e la tastiera racchiusa in modo sublime, geniale, nel brano è un autentico demo registrato all’epoca dal compianto genio: ascoltate questo brano e poi immediatamente “Journey to the End” dei Windir… le emozioni che proverete saranno gelidamente intense! Infine la conclusiva “Shadowland”, l’epilogo della storia, trasuda malinconia con una chiusura tanto teatrale quanto immensamente tragica. Una storia. Un protagonista. Quel nord ovest. Tra montagne che respirano e vivono, che sussurrano ed osservano, rievocando la purezza deviata del vero black metal. Quelle valli e quei rilievi ad ovest della Norvegia, dalle cui cime vedi il mare dei fiordi e l’infinità crudele dell’oceano. Secondo la band un posto oscuro dove il confine tra realtà e fantasia si assottiglia, dove la morte è sempre accanto. Una storia con un protagonista che agli inizi della vicenda intraprende un sentiero nel mezzo del nulla, tra boschi e valli, con la morte che lo segue come un’ombra tanto impercettibile quanto presente. E, scusate se è poco, ma questa sembra la storia della tragica fine di un grande. La fine di una leggenda, la morte di Valfar. La morte di un guerriero… Valfar… Ein Windir!
(Luca Zakk) Voto: 10/10