(Dark Essence Records) Con i Vulture Industries le cose sono sempre strampalate, almeno tanto quanto è geniale la loro superlativa musica, il loro approccio scenico, artistico e pure quello pandemico, visto che continuano a fare live strem gratuiti da posti tanto iconici quanto assurdi: ex bordelli, ex fabbriche tessili… con conseguenti surreali concorsi di maglieria. Assurdi: c’è poco da fare, la band capitanata da quel pazzoide di Bjørnar Nilsen è dominata da una linfa vitale rappresentata da pura e totale follia. Pazzia all’ennesima potenza, tanto che questa riedizione non vuole certo essere una eccezione. Tanto per cominciare è la riedizione del secondo album, senza che ci sia mai stata quella del primo. Ma non è tutto: si celebra l’undicesimo anno del titolo… ma chi diavolo pubblica qualcosa di celebrativo per l’undicesimo anno? Di solito è il decimo, il ventesimo, se vogliamo il quindicesimo o il terzo lustro che dir si voglia… ma undici? Poi ci sono altre cose poco equilibrate. Tanto per cominciare una premessa: il leader lavora alla Dark Essence e si occupa di suono, produzione, registrazioni e cose del genere, insomma uno capace di far suonare alla grande dischi di bands come Taake o Helheim; detto questo, sappiate che l’idea originale era di fare un remix completo di questo album, cosa che è stata fatta… ma con risultati pietosi, portando al conseguente passo indietro. Alla fine il lavoro che è stato veramente fatto consiste nel rimescolare l’ordine delle tracce e adattare i suoni del master per l’incisione sul vinile (cosa normale per un album che deve essere stampato sia su CD che LP), visto che questa edizione finisce per la prima volta sui solchi, l’unico loro album mai precedentemente uscito in questo formato. Giusto per non rendere la cosa una semplice prima stampa in vinile arrivata con undici anni di ritardo, ecco che il vinile non è nero… ma dipinto un infernale rosso e nero, aggiungendo inquietudine al già inquietante contenuto sonoro. La copertina non cambia, anche perché raffigura l’attore norvegese Helge Jordal, il quale adora la band tanto da aver prestato il suo volto anche in occasione della copertina del debutto. Quindi? Cosa ci stanno vendendo? Non c’è alcuna vera celebrazione. Nessun remaster che renda il suono ‘poderoso’ (o in linea con qualsivoglia esalante aggettivo usato nelle pubblicità delle ristampe). Niente di nuovo. Solo una versione in vinile, quella che undici anni fa l’etichetta si dimenticò di stampare. Che diavolo, è una frode? No. No, dannazione! “The Malefactor’s Bloody Register” è un maledetto capolavoro di metal alternativo, creativo, isterico, fantasioso. È un album con arrangiamenti intensi, linee vocali multiple, ospiti di vario tipo, strumenti addizionali quali hammond, sassofono ed archi… tutte componenti che nulla tolgono alla violenza heavy che questo album è capace di offrire. “The Malefactor’s Bloody Register” è un circo degli orrori, un mondo popolato da clown deviati e perversi, simile alla realtà nella quale viviamo tutti noi, un mondo dove non c’è una vera divisione tra il male ed il bene o quella tra il crimine e la punizione. Alla fine tutto converge verso un solo punto: il boia, dopotutto, sale sul patibolo con il criminale, rendendo tanto glorioso quanto eterno quel momento dove male e bene, criminale e vittima, crimine e sentenza, colpa e pena si uniscono, trasformandosi in un’unica possente sfera di energia. La riedizione di “The Malefactor’s Bloody Register” serve per ricordare quanto effimera sia la nostra esistenza… e quanto grandioso sia questo disco. L’avete ignorato undici ani or sono? Ecco un’occasione unica per espiare quella colpa e sperare che quel cappio non sia pronto per il vostro collo!
(Luca Zakk) Voto: 10/10