(Indie Recordings) Ho comprato il primo disco dei Wardruna a un piccolo festival in Germania, nel luglio del 2009. Non sapevo niente della band, stavo facendo shopping metallico compulsivo e mi sono trovato davanti il loro debut. Se fossi un poeta direi che è stato lui a ‘chiamarmi’; forse, più semplicemente, mi hanno guidato i miei interessi storico-filosofici nei confronti del Medioevo e della cultura norrena. Al momento di pagare, vedendo che il resto dei miei acquisti riguardava il solito power/epic metal, un commesso teutonicamente zelante ha addirittura tentato di dissuadermi dal comprarlo! Per fortuna non ci è riuscito, e “Gap Var Ginnunga” è rapidamente diventato una delle colonne portanti della mia cultura musicale. Un disco che in superficie è lontanissimo da ogni tipo di metal, ma in realtà condivide con il viking e il black l’archetipo universale dell’epica intesa nella sua forma più pura e maestosa, e per questo può essere fruito da chiunque avverta (o meglio ancora condivida) questo potente ‘sentimento originario’. “Yggdrasil” è il degnissimo seguito di “Gap Var Ginnunga”, e conferma la sconfinata capacità dei Wardruna di creare atmosfere senza tempo e canzoni di una potenza ancestrale quasi annichilente; la descrizione dei singoli brani è difficile proprio perché essi andrebbero goduti nella loro forza primitiva, abbandonandosi all’ascolto di questa epopea mitologica che procede da una oscura runa all’altra. “Rotlaust tre fell” è una veloce corsa nella foresta durante una caccia: è subito fondamentale l’apporto delle percussioni e dei cori. Ritmi sostenuti anche in “Fehu”, dove però dominano strumenti a corda e voci femminili dotate di charmanti riverberi. “EwahR” è pura mistica nordica, sciamanica, fumosa, avvolgente: i cori in crescendo che si ripetono all’infinito sono in grado di generare una trance nell’ascoltatore. “IwaR” è di nuovo incalzante, un inseguimento sostenuto fra gigantesche querce secolari fino alla vista del mare; “Gibu” è un canto attorno al fuoco dopo il racconto delle antiche storie. “Solringen” ha un altro tiro, verrebbe quasi da dire più ‘easy listening’ rispetto al resto: un canto più solare, aperto, dove predominano le voci femminili e i toni (relativamente) distesi. La radura nella quale rifiatare prima della fine del viaggio con “Sowelu”, dove predominano le arpe, e “Helvegen”, che è il picco della lenta, intensa, drammatica magnificenza sonora dei Wardruna. “Yggdrasil” è, senza mezzi termini, un equivalente in musica dell’Iliade, dell’Edda, dell’Enuma Elish. Non vi spaventi la sua estrema difficoltà: è assolutamente imperdibile.
(Renato de Filippis) Voto: 9/10
WARDRUNA – “Yggdrasil”
(Indie Recordings) Rinascita. Fine dell’era oscura. Natura che vive, natura che pulsa. Colori vivi, umidi, vitali che emergono da un’omogeneità bianca. Un candore che risultava tetro, angosciante, opprimente. Cammino. Solo. Il mio io immateriale aleggia attorno alla mia presenza fisica, si distacca, danza con la natura, torna da me. In me. Sento i rumori. I miei passi sulla neve. I miei passi sulle rocce, i miei passi sulla terra. Sento i rumori del respiro di una natura che ritorna al suo stato luminoso, una natura che abbandona il lato oscuro, che si risveglia dal lungo riposo. Tutto si anima. Tutto è prosperità. Vita. Proseguo il mio cammino, addentrandomi senza meta in queste interminabili foreste. Ogni albero, ogni torrente, ogni roccia riflette, come uno specchio, la mia personalità. La natura curva la direzione della mia vista, e mi forza ad osservare dentro di me, avviandomi in un viaggio nel viaggio, un nuovo sentiero introspettivo. Mi vedo. Mi percepisco. Io sono me stesso. Io sono tutto. Noi siamo io. Il percorso terreno prosegue. L’aria profuma. Il mondo rinasce. Improvvisamente termina la foresta, ed i miei occhi si posano sulla visione di una valle. Il cielo plumbeo, colore del granito, sfumature del metallo, emana una luce surreale che risalta il verde. Ovunque, tutto è verde. Un verde bagnato. Un verde poderoso. Un verde intenso come il rosso del sangue. Un verde che emana il profumo inebriante del muschio. Acqua che spinge la terra verso una nuova vita. Il tempo avanza. L’arco del sole sembra non finire mai. La natura volge a colori solari. Domina il giallo. E’ il colore che emerge dal verde. Domina il sole, regna la sua energia. Sovrana è l’euforia. Ed i raccolti sono ricchi. Gli dei favorevoli. La vita raggiunge livelli superiori, una vita che è inno se stessa. La gente gioisce. La comunità prospera. Nuova vita, ulteriore speranza. Danze. Celebrazioni. Un fuoco immenso che illumina il cielo. Il suo rumore, il suo crepitio. Riti. Culti. Preghiere. Speranze. Guardo in alto verso un cielo che torna, lentamente, ad oscurarsi. Una pioggia battente bagna il mio volto, bagna il mio corpo, bagna il mio io. Un processo di trasformazione spirituale, che crea un invisibile ponte tra mondi diversi, ma complementari. Sono sul ponte. La pioggia lava via i miei limiti mentali. Si svelano i misteri della vita e della morte. Si svela la natura in tutta la sua essenza. Eterni segreti si rivelano alla mia terrena comprensione. Guardo lontano e vedo me stesso. Percezione del mio io nella natura. Io sono la natura. La natura è noi tutti. Non c’è distinzione. In una visione che va oltre il tempo e le dimensioni fisiche, un concetto che va oltre i confini terreni e cosmici: non esiste un io. Non esiste l’individuo. Non esiste distinzione. Tutto è natura. E noi siamo parte di essa. Mentre le gocce di pioggia continuano a solcare la mia forma umana, riprendo il cammino, verso la foresta. Il profumo del muschio è forte. Torno nelle ombre. Forza magica delle rune. La loro sapienza, la loro luce. Il mio viaggio continua, il mio viaggio non ha fine.
(Luca Zakk) Voto: 9,5/10