(Sons of a Dream) Il 13 Novembre, la Alone Records ripubblica su vinile limitato a 1500 copie il nuovo album dei Warlord, “The holy Empire”: un’ottima occasione per parlare di questo disco, uscito su cd a Marzo, ma che praticamente non ha avuto alcun tipo di promozione. E pensare che dei MetalHeads lì fuori possano non conoscerlo e quindi non possederlo è una cosa che non mi fa dormire la notte… non credo ci sia proprio bisogno di presentare i Warlord di William J. Tsamis, fra i primi alfieri dell’epic metal americano, presenti a singhiozzo sulle scene da ormai 30 anni; in tutto non hanno pubblicato che tre full-“length” (questo incluso) e qualche altro brano su ep, singolo o compilation, ma la loro importanza per tutto il filone più ‘sacrale’ dell’heavy metal è assolutamente incalcolabile (e dire che Joacim Cans, prima che cantante della band, sia stato suo grandissimo fan è cosa ben nota). Beh, passata ormai la cinquantina, Bill ha finalmente deciso di dedicarsi alla sua creatura in pianta stabile: reclutati il fido batterista di sempre Mark Zonder, il bassista Philip Bynoe, e il cantante Rick Anderson (che fu per un breve periodo in formazione fra ’85 e ’86, e che ha poi cantato sui primi quattro dischi dei Martiria), ha dato vita a una perla assoluta di metallo epico e sontuoso, che – lo dico senza timore di suonare eretico di fronte ai defenders – può reggere il passo con “Deliver us” e con i “Cannons of Destruction”! Gli otto brani in scaletta sono otto centri fenomenali, che uniscono in proporzioni perfette maestosa sontuosità e melodie catchy e immediate… accanto a “Father”, che già conosciamo nella versione dei Lordian Guard, spicca anzitutto la titletrack, in cui la verve epica di Tsamis raggiunge il suo massimo apice, fra cori ammalianti e un refrain fluviale, immensamente potente. Undici minuti non sono abbastanza per contenere questo capolavoro! Ma che dire di “City Walls of Troy”, con la sua cadenza doomeggiante, asfissiante, senza scampo, e il suo testo disperato? “Thy Kingdom come” ha delle melodie vocali da brivido, eseguite da un Anderson che in “Kill Zone” lascia il microfono a Giles Lavery dei Dragonsclaw, il quale sfodera una aggressività che contrasta piacevolmente con la voce angelica del singer ‘ufficiale’. E se “Night of the Fury”, a dispetto del titolo, ha un’aura romanticamente malinconica e dimessa, l’opener “70.000 Sorrows” ci culla con il suo ritornello paradossalmente pieno di speranza. In questa serie di capolavori, la più innocente e ‘allegra’ “Glory” non può che stare un passo indietro, il che significa comunque dieci passi avanti al 90% dei brani che ho sentito quest’anno. Non mi dilungo oltre: credo di aver reso chiaro come “The holy Empire” sia la migliore uscita ‘classica’ di questo 2013, e come esso non debba mancare nella collezione di nessun amante dell’heavy metal.
(Renato de Filippis) Voto: 9/10